Autore archivio: ammininstratore

Nati per resistere?

a cura di Sara Caroppo

resilienzaSe facessimo una lista dei termini più usati nell’ultimo periodo, quello della “resilienza” risulterebbe di certo ai primi posti.

Se prima con il concetto di resilienza si indicava la proprietà dei metalli di resistere a delle forze opposte, senza spezzarsi, con il passare del tempo il termine ha conosciuto larga diffusione, andando a coinvolgere anche altre discipline.

In maniera particolare quella che a noi può interessare è la definizione che gli studiosi del comportamento umano danno delle persone resilienti.

Il resiliente è colui che “persiste nel raggiungere obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace difficoltà ed eventi negativi”; resta da stabilire a questo punto se la resilienza sia una caratteristica di tutti o una prerogativa di pochi.

Di certo il fronteggiare le avversità che la vita pone davanti piuttosto che gestire in maniera efficace ed equilibrata dei cambiamenti personali o professionali dipende dalla personalità di ciascuno, ma questo non può bastare per definire una persona resiliente o meno.

Ricerche in campo psico-sociale infatti dimostrano che tutti gli esseri umani sono progettati per affrontare le difficoltà: essere resilienti non è l’eccezione, bensì la regola.

A questo proposito riportiamo uno studio, apparso sulla rivista Nature qualche anno fa (Endurance running and the evolution of Homo, 2004) che coloro che studiano i processi della resilienza riportano come significativo per comprendere ancora meglio il concetto.

Secondo le decennali ricerche dei due biologi contenute nell’articolo, noi esseri umani non siamo nati per stare fermi o camminare, ma per correre.

Bramble e Lieberman (gli autori della ricerca) hanno analizzato in dettaglio le differenza tra l’Homo sapiens e i suoi ominidi predecessori e ciò che hanno rilevato è che “l’uomo si è distaccato dagli altri primati modificando le sue abitudini alimentari, sessuali, sociali e di linguaggio, grazie ad un comune denominatore corporeo di adattamento alla corsa di lunga durata.”

La capacità di correre a lungo ha fatto in modo che l’uomo si staccasse dal resto del gruppo e si evolvesse, inizialmente solo da un punto di vista scheletrico, poi anche sotto altri aspetti, tra cui quello cerebrale.

Detto in altri termini, l’evoluzione dell’uomo ha fatto in modo che egli fosse fisicamente predisposto per resistere agli sforzi di lunga durata.

Questo il motivo per cui chi studia la resilienza prende come riferimento gli studi dei due biologi.

La natura ci ha reso resistenti allo sforzo.

Se da una parte tutto ciò conferma il presupposto che siamo capaci di affrontare, superare e uscire dalle difficoltà, dall’altra è d’obbligo guardare con un occhio critico la questione e chiedersi: qual è il limite oltre il quale non si parla più di resilienza?

Il rischio che si può correre infatti è confondere la propria capacità di resilienza con quella di sopportazione o ostinazione.

Il problema è che i concetti sono diametralmente opposti.

Volendo usare un’immagine, è come se raccontassimo di aver affrontato un temporale andando in cerca di un riparo o aspettando immobili che la pioggia smettesse di cadere.

In entrambi i casi il momento di difficoltà avrà un suo termine.

La considerazione da fare però è se nel frattempo la nostre risorse cognitive ed emotive si sono impoverite o al contrario hanno trovato nella situazione un momento di sviluppo.

Perché solo quando c’è crescita c’è vera resilienza.

E-mail , quanto ci costi?

a cura di Sara Caroppo

mail-bottleQuello della posta elettronica è un argomento quanto mai dibattuto negli ultimi anni, soprattutto quando si parla di e-mail aziendali.
Nata negli anni 70 , la e-mail risponde alla necessità di comunicare in maniera veloce via web tra persone distanti fisicamente, soprattutto considerando, che essendo un mezzo di comunicazione asincrono, non occorre che per la trasmissione di un messaggio mittente e destinatario siano contemporaneamente attivi o collegati.
In sintesi dunque, la e-mail risponde ad una logica di miglioramento della comunicazione, soprattutto dal punto di vista dell’efficienza.
Peccato però che ormai la posta elettronica, più che essere sinonimo di soluzione, lo sia di problema.

Piccolo test.
Chi si riconosce nelle seguenti situazioni?
E- mail che non vengono lette, messaggi a cui non viene data risposta o che potrebbero essere più facilmente sostituiti con una telefonata, destinatari poco chiari, copie conoscenza inutili, inoltri indiscriminati, testi troppo lunghi o incomprensibili, allegati pesanti, toni privi di rispetto ed educazione….

Lato negativo della situazione? Si potrebbe continuare all’infinito.
Messaggio di speranza? In queste situazioni ci riconosciamo un po’ tutti , prova evidente del fatto che il problema non siamo tanto “noi” in prima persona, quanto una gestione poco efficace dello strumento e l’assenza di regole condivise all’interno di aziende o gruppi di lavoro.
Situazione insomma risolvibile se solo si prendesse consapevolezza di ciò.

Un esempio evidente di come tutti siamo sulla stessa barca è il caso Ferrari.

“Scrivete di meno e parlatevi di più”.
Questo è stato il motto della Casa di Maranello lanciato un paio di settimane fa ai suoi dipendenti.

Davanti a incomprensioni, perdite di tempo, e molti altri problemi generati dalle mail, la regola che hanno trovato in Ferrari è stata limitare a tre il numero massimo delle persone a cui può essere mandato un messaggio di posta.
Si abbandonano le liste chilometriche di destinatari e gli inoltri generici a favore di una comunicazione più mirata ed efficace.
La soluzione per il management del Cavallino è stata quindi “introdurre un comma personale alla netiquette” e condividerla perché sia regola di uso comune.

La Ferrari è solo una delle tante aziende che si stanno muovendo in questa direzione.

Performando si trova sempre più spesso infatti a progettare percorsi finalizzati alla gestione efficace della comunicazione via e-mail.
L’approccio scelto in questo tipo di progetti è di tipo operativo.
Lo scopo dei trainer è proprio quello di condurre i partecipanti attraverso esercizi mirati a elaborare una propria netiquette (condivisibile all’interno dell’azienda) che possa facilitare l’utilizzo dello strumento e migliorarne pertanto la comunicazione interna.

Dare alle persone la possibilità di riflettere prima e di agire poi sulle proprie modalità di comunicazione, vuol dire non solo migliorare le proprie relazioni interne, ma anche fare un investimento, considerando che i problemi di comunicazione generano perdita di tempo e, come si dice in questi casi, “il tempo è denaro”.

Per leggere l’articolo completo cliccare qui

Proprio in questi giorni Performando in collaborazione con l’Università di Padova sta effettuando una ricerca sulla gestione delle riunioni e l’utilizzo delle e-mail.
Se siete interessati a compilare il questionario cliccare qui

Meeting e E-Mail > Partecipa alla ricerca

questionarioPerformando ti invita a contribuire al miglioramento della comunicazione interna alle organizzazioni relativamente alla gestione delle riunioni e all’utilizzo delle e-mail, rispondendo ad un breve questionario accessibile cliccando qui messo a punto dal nostro team in collaborazione con l’Università degli Studi di Padova.

I dati verranno raccolti in forma anonima e, a ricerca conclusa, pubblicheremo i risultati aggregati attraverso il nostro sito. Nel caso in cui venga inserito anche il nome della propria organizzazione (campo facoltativo del questionario), sarà possibile ricevere anche i dati specifici della propria realtà lavorativa.

L’obiettivo della ricerca è quello individuare gli aspetti da migliorare in merito a tali meccanismi comunicativi, grazie allo studio e alla realizzazione di una ricerca per la tesi di laurea di uno studente del corso triennale di Metodologie della Formazione del dipartimento FISPPA (Dipartimento Di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata) sotto la supervisione dalla Professoressa Monica Fedeli dell’Università di Padova e dei Dottori Andrea Di Lenna e Andrea Petromilli della società di consulenza Performando.

Ti ringraziamo anticipatamente per il tuo contributo.

Per informazioni è possibile contattare: Andrea Petromilli > andrea.petromilli@performando.it

Per compilare il questionario cliccare qui

La professione forense: evoluzione e prospettive

a cura di Francesco Apuzzo

rovereto1 Il mese scorso Francesco Apuzzo ha partecipato come relatore ad un incontro formativo e accreditato organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Rovereto e dal Comitato per le Pari Opportunità, dal titolo “La professione forense: evoluzione e prospettive”.
I primi due interventi hanno presentato, dati alla mano, la situazione attuale della professione dell’Avvocatessa e le possibili azioni da intraprendere per migliorare i numeri relativi ai redditi e al welfare delle pari opportunità, con riferimenti specifici alla riserva di genere nella legge professionale. A seguire il suo intervento intitolato “Lo Studio Professionale Vincente” come il titolo del libro scritto assieme ai colleghi di Performando e dedicato ai professionisti dei vari Ordini, all’interno del quale vengono proposti spunti e indicazioni per un approccio manageriale della gestione organizzativa, della comunicazione interna ed esterna, del lavoro di squadra e con riferimenti anche alle normative riguardanti lo stress lavoro correlato.
La prima considerazione è stata quella di dare segnali positivi per il mondo del lavoro femminile in generale, viste le esperienze come consulente e formatore aziendale, in cui sempre più spesso si interagisce con lavoratrici donne (impiegate, dirigenti e libere professioniste), a testimoniare quindi la crescita ed il percorso verso una equa distribuzione dei posti di lavoro basato più sulle capacità e sulle competenze piuttosto che sulla differenza di genere, ferma restando la naturale predisposizione ad alcuni tipi di mansioni per il genere femminile e per quello maschile.
Quando poi le condizioni lo permettono è sempre apparso evidente che i gruppi di lavoro più performanti siano quelli misti, meglio ancora se all’interno dei quali sono state effettuate azioni mirate di consulenza e formazione per agevolare e facilitare il rispetto e la reciprocità.
La seconda parte dell’intervento ha poi voluto sensibilizzare i presenti sulla opportunità di utilizzare alcune metodologie di comunicazione e di diffusione di conoscenza solitamente pensate solo per il mondo aziendale.
Anche qui, con dati alla mano, è emerso da una ricerca specifica che i nuovi Studi Legali, o i singoli professionisti e professioniste nel settore legale, abbiano la necessità, soprattutto ad inizio carriera, di allargare il proprio numero di clienti per poter agevolmente sostenere le spese legate a questa attività e di confrontarsi anche con la “concorrenza” di altri Studi.
Per questo sono state presentate la differenza tra bisogno e desiderio dal punto di vista del cliente e le opportunità di comunicazione, sia tradizionali che legate ad Internet, di rendersi visibili nel pieno rispetto delle indicazioni espresse negli articoli 17 e 17bis del Codice Deontologico Forense.
Durante la presentazione numerosi sono stati gli interventi dei presenti, chi contrario e chi a favore, a testimoniare l’interesse e l’attualità di questi temi anche in questo settore.
La relazione è terminata con un invito a riflettere su quali potrebbero essere a livello individuale le scelte più adeguate in termini di comunicazione e organizzazione (compresa quella di creare Studi Associati) e di considerare che un buon motivo per farlo è che sicuramente qualcun altro lo sta già facendo!

Collaborazioni prestigiose

a cura di Andrea Di Lenna

ArticoloCS In allegato riportiamo l’articolo scritto dal Prof. Paolo Gubitta, professore presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Padova e direttore scientifico del Master per Imprenditori del Cuoa, sul Corriere del Veneto in occasione dell'” MBA part time Anniversary”, il decennale del Master part time per Imprenditori presto la prestigiosa Business School di Altavilla Vicentina.
Siamo molto orgogliosi di far parte del gruppo di docenti che hanno contribuito a sviluppare la professionalità degli imprenditori alla guida delle aziende del nostro territorio. La collaborazione di Performando con il Cuoa in questo ambito dura ormai infatti da qualche anno e si arricchisce di continuo di nuove forme di scambio ed integrazione.
Riprendendo le parole del Prof. Gubitta, siamo consapevoli di svolgere il nostro lavoro quotidiano per dare un contributo allo sviluppo e alle competenze di chi, ogni giorno, guida e gestisce le persone che producono, non senza difficoltà, i risultati e le eccellenze che tutti noi conosciamo.

leggi l’articolo >>> Classe dirigente a testa alta

John Kirwan ancora “outstanding”!

a cura di Andrea Di Lenna

jknzE’ con grande piacere che riportiamo una bellissima notizia che rimbalza in Italia dai nostri antipodi.
John Kirwan, con il quale Performando ha il piacere e l’onore di collaborare da più di un decennio, è stato nominato “most trusted person” in Nuova Zelanda.
Dopo aver ricevuto due anni fa il titolo di “cavaliere” dalla regina Elisabetta, Kirwan riceve un altro prestigioso riconoscimento, frutto del suo grande lavoro tanto come allenatore (in Nuova Zelanda allena i “Blues”, che hanno dato ben sette giocatori agli All Blacks che negli ultimi giorni hanno affrontato in Nuova Zelanda la Francia, battuta tre volte su tre anche con un terrificante 30-0!!!), quanto come testimonial a sostegno delle persone vittime di depressione, soprattutto a seguito del suo libro “All Blacks don’t cry”, di prossima uscita anche in italiano nel nostro Paese.
Ci uniamo quindi alle congratulazioni a John, straordinaria persona che attendiamo con impazienza in Italia per altre iniziative di grande qualità con Performando.

Incontro: “La professione forense: evoluzioni e prospettive”

 a cura di Sebastiano Cutrupi

convegnoFrancesco Apuzzo, consulente di Performando, il 13 giugno interverrà all’incontro “La professione forense: evoluzioni e prospettive”, presso l’Ordine degli Avvocati di Rovereto, a cura del Comitato per le Pari Opportunità, sul tema “Lo studio professionale vincente”.

L’incontro, a partire dalle ore 15.00, si terrà nella Sala conferenze – Palazzo della Fondazione Cassa di risparmio di Trento e Rovereto; P.zza Rosmini 5, Rovereto.

Per iscriversi e consultare il programma: cliccare qui
La partecipazione dà diritto a 3 crediti formativi in materia deontologica.

Ottimismo vs. Pessimismo; chi vince?!

 a cura di Sebastiano Cutrupi

ottim“La Repubblica” del 20 dicembre 2012 pubblicava un interessante articolo di Federico Rampini il quale, prendendo spunto dal libro Prozac Leadership del prof. Collison, attua una mirata disamina della storica contrapposizione tra pensiero “ottimista” e “pessimista” (positive vs. negative thinking).

Seguendo il ragionamento di Rampini emerge che la cultura del positive thinking è nata in Usa diffondendosi poi nel mondo occidentale e determinando quella che Collison definisce una sorta di dittatura del conformismo sfociata nel crac economico del 2008. A tal proposito, cita lo sgomento dei banchieri di fronte alle proteste del movimento Occupy Wall Street come esempio della perdita di legame con la realtà che una visione forzatamente ottimistica potrebbe causare – «Perché ce l’hanno con noi, cosa abbiamo fatto?!». Collison continua sostenendo che la criticità sia una cultura la quale impone di nascondere le proprie paure ed incertezze, mostrandosi vogliosi di riuscire e ciechi di fronte ai rischi. In tal senso, Laurence Peter ha coniato un’ironica teorizzazione secondo la quale all’interno di ogni organizzazione ciascuno viene promosso fin quando raggiunge il livello di responsabilità per il quale è del tutto incompetente, e ciò comporterebbe una sostanziale impossibilità del “successo finale”, sulla base di un enorme diffusione di manager inadeguati. Probabilmente, però, ciò contro cui si scagliano gli autori non è l’ottimismo reale quanto la sua degenerazione, il cosiddetto ottimismo ottuso che persegue scopi attraverso vie e percorsi totalmente disancorati dal mondo reale ed oggettivo. Lo stesso Rampini, chiudendo l’articolo, precisa che l’ottimismo positivo (ma non illusorio) è il motore del progresso e della crescita umana; riallacciandoci a tale puntualizzazione possiamo far luce, ad esempio, sulle migrazioni: la nostra specie non si sarebbe diffusa nel mondo se non ci fosse stato un minimo di ottimismo a guidare i nostri avi nelle prime esplorazioni di terre totalmente sconosciute, così come ora non avremmo gli agi e le comodità di cui godiamo se una sfilza di (visionari ma ottimisti) inventori e creativi non si fossero dati da fare.

Ecco che l’equilibrio sembra essere la chiave di lettura più efficace: troppo pessimismo bloccherebbe l’azione, ponendoci in una condizione di immobilismo spaventato ed inquieto; allo stesso tempo, però, una visione ottimisticamente idealistica della vita condurrebbe senza dubbio al precipizio dell’irreale. Qui si inserisce il lavoro di Martin Seligman il quale, nei suoi lavori, evidenzia l’importanza del “credere” e dell’approcciarsi alla vita senza farsi “assalire” dalla negatività, affinché la vita non solo appaia ma sia effettivamente vissuta in modo positivo, non illusorio né, soprattutto, offensivo nei riguardi del nostro diritto di vivere nel miglior modo possibile. Esempio opposto risulta essere quello che scaturisce dalle ricerche di Beck (1967; 1961) i cui studi hanno messo in luce come, in pazienti affetti da sindromi depressive o da stati emotivi tendenzialmente negativi, si configurasse quella che Beck chiamò la “Triade cognitiva”: visione negativa di sé (sentirsi inadeguato o difettoso) e del mondo (interpretare negativamente le interazioni con l’ambiente) che si legano ad un’ulteriore concettualizzazione negativa del futuro (pessimismo). Un giusto equilibrio fra i due thinking (positive e negative) appare, invece, come il modo più sensato di vedere ed affrontare le cose: una concezione del rischio, del pericolo e dell’imprevedibilità del reale (negative) come sfondo tenue ma presente in un moto costante e perpetuo verso il nuovo, il diverso e possibilmente migliore (positive), che non sono sinonimi ma spesso si accompagnano vicendevolmente.

Lavorare in gruppo, le relazioni interpersonali/gestire il gruppo di lavoro

a cura di Francesco Apuzzo

FApersitoUn corso sul lavoro di gruppo! Anzi, due corsi: nello stesso giorno e nella stessa aula si sono susseguiti due incontri su questo argomento, vuol dire che è di moda! Complimenti, complimenti per aver partecipato e aver dedicato del tempo per riflettere sulla gestione dei rapporti all’interno del vostro luogo di lavoro, e questo vale sia per chi si è presentato in qualità di responsabile, chi di collaboratore, chi di entrambe le posizioni.

“Sì, ma quanto si guadagna ad investire tempo e denaro sulle relazioni interpersonali?” “Come le rivendo una volta migliorate?” “E forse, non è il caso di lasciare tutto cosi com’è, che comunque funziona da anni?” “Sì, ma mi aspettavo un corso sul gruppo, ossia come si deve fare per crearlo, con una guida passo/passo”. Queste, ed altre, sono le domande a cui si è tentato di dare risposta durante l’incontro, valorizzando lo spirito della serata appositamente denominata “culturale”, ossia di diffusione di conoscenza volta allo sviluppo di capacità e al miglioramento delle competenze. Fare un corso sul gruppo senza il gruppo è molto sfidante, nel senso che mai come in questa tematica è fondamentale partire dall’individuo, dalla persona, dalle sue motivazioni, dai suoi obiettivi e dalle sue emozioni. La serata ha quindi voluto dare spunti di riflessione e fornire alcuni esempi pratici/simulazioni di team building, cercando di illustrare quali possano essere le azioni per passare dal concetto di gruppo a quello di squadra, partendo dal presupposto che ogni gruppo di lavoro ha le proprie particolarità, simboli, riti, valori e che quindi sia opportuno riflettere volta per volta sulle azioni da intraprendere.

Quindi, perché farlo (il lavoro sul gruppo)? Per vari motivi: primo, forse nelle altre aziende lo stanno già facendo e questo porterà dei vantaggi competitivi, generando miglior clima, migliori rapporti, miglior comunicazione, maggiore soddisfazione del cliente, maggior fidelizzazione, maggior passaparola, recensioni positive on line e in definitiva anche maggiori vendite e guadagno!; secondo, la normativa sullo stress-lavoro correlato, che è in continua evoluzione, da una parte potrebbe presto diventare un obbligo, dall’altra è un asset intangibile (ed è comunque meglio farsi trovare preparati alle normative); terzo, la soddisfazione personale di lavorare (o di offrire un posto di lavoro) in un ambiente gradevole, stimolante, che valorizzi le nostre aspettative e nel quale sentiamo di poter contribuire allo sviluppo del benessere aziendale, nostro e dei colleghi. Ancora, molti altri motivi, tra i quali la possibilità di iniziare il percorso verso la creazione della Responsabilità Sociale d’Impresa.

Da dove partire.

Ogni persona differisce da un’altra sia nelle apparenze esterne che nelle sue caratteristiche più nascoste, nel modo di capire il mondo E se stessi, nelle cose che fa ed in quelle a cui dà importanza. CHI ha ragione? Tutti, naturalmente. Oppure nessuno, oppure solo alcuni, ma rispetto a cosa? Quale è il parametro? Di cosa stiamo parlando? La risposta a tutte queste domande, così come presentata durante il seminario – e come dice sempre Andrea di Lenna, titolare di Performando – è questa: “dipende”. Stiamo infatti parlando di sistemi valoriali da condividere in norme di comportamento del gruppo, una delle sfide più complesse, e per questo potenzialmente tra le più redditizie, dell’organizzazione aziendale. Il termine valore deriva dal tardo latino valor=forza, ma due forze contrastanti si annullano, e pertanto risulta necessario identificare quelle che vanno nella stessa direzione, altrimenti si rimane fermi. E come faccio ad identificarle? Potrei sentire le opinioni di tutti e poi scegliere la maggioranza, con un tradizionale metodo democratico, ma non è detto che sia la scelta migliore per la sopravvivenza dell’azienda. Quindi quale è il metodo migliore? Quello che ho definito “gruppocratico”, ossia che tiene conto delle opinioni di tutti e sceglie la soluzione migliore per poter continuare a generare profitto, che potrebbe essere la scelta di pochi o addirittura di uno solo, il cosiddetto leader visionario.

E’ a questo punto che si può iniziare a parlare di cultura d’impresa, di cultura di gruppo, di passaggio al concetto di squadra, di leader e di follower per generare visione e missione aziendali.

A proposito di visione e missione, una volta create vanno allenate, riprese più volte, non devono rimanere nella bacheca aziendale o sulla home page del sito.

Già negli anni ’90 E. H. Schein proponeva questa riflessione (il termine gruppo o squadra in questo caso sono sostituibili):
“L’essenza stessa del gruppo o identità del gruppo – gli schemi comuni di pensiero, le convinzioni, le sensazioni ed i valori risultanti da un’esperienza comune e da un comune apprendimento – è ciò che noi, in ultima analisi, chiamiamo “cultura” di quel determinato gruppo. Senza un gruppo non ci può essere nessuna cultura, e senza un certo livello di cultura non si può parlare effettivamente di gruppo, ma solo di un insieme di persone. Di conseguenza, la nascita di un gruppo e la formazione della cultura possono solo essere considerate due facce della stessa medaglia, ed entrambe sono un prodotto dell’attività di leadership.”

Uhm, siamo nel 2013…valgono ancora queste considerazioni? Più che mai ora, specialmente perché il mondo del lavoro è in continuo mutamento e le persone hanno molta più possibilità di allora di conoscere, informarsi ed informare.
Di nuovo uhm, con tutti i pensieri che ho per la fase economica in atto, la pressione fiscale, l’incertezza, la ricerca e sviluppo, l’innovazione, l’innovazione! (lo ripeto due volte perché se ne parla ogni giorno) devo anche dedicarmi a questo lavoro? Non devo, posso. Ma se lo inizio devo pensarlo come un percorso, un allenamento con un obiettivo di lungo periodo. Stiamo parlando di persone, di emozioni, di sensibilità, di autostima, autorealizzazione, etica, motivazioni, per alcuni addirittura fede. Quindi ogni intervento formativo e consulenziale deve essere valutato, ponderato, se possibile gestito da specialisti, meglio ancora se esterni, presenti nella fase iniziale e successivamente come supporto con attività di coaching, mentoring e tutoring. Tradotto: a frasi tipo “dai facciamo un corso sul team building di una giornata, all’aperto, magari di sabato che non si lavora, così ci divertiamo e da lunedì tutto andrà meglio” la considerazione da fare è sempre la stessa, “dipende” , da caso a caso. Potrebbe anche andare bene, se il clima è già positivo, come potrebbe solamente evidenziare o far emergere situazioni latenti e sopite da tempo che, se non gestite in maniera opportuna, potrebbero addirittura peggiorare. Alle domande “quanto dura un corso sulla squadra?”, “quanto ci vuole per cambiare in meglio?” la risposta è ancora quella. Per ottenere tutto questo, come ulteriore indicazione, è fondamentale il “commitment” (qualcosa di più dell’impegno) da parte del titolare, capo, proprietario, allenatore, responsabile della squadra che ha percepito la necessità di lavorare su questi aspetti. Non è detto che debba partecipare a tutti gli incontri, di certo deve informarsi, ascoltare e informare, valutare i cambiamenti ed essere il primo a metterli in pratica, sia a livello comportamentale che strutturale. Si può generare un miglior clima operando sulla ergonomia del luogo di lavoro, sull’accoglienza dei bagni, sulla grandezza dei monitor, come lavorando sulla capacità/volontà di essere un leader autorevole.

Certo è che, una volta iniziato un percorso di formazione e consulenza strutturato, i risultati arrivano e generano un volano di dinamiche concrete facilmente tangibili e traducibili in sostanziali miglioramenti, sia di clima che di fatturato e che, come proponiamo nel nostro motto aziendale, contribuiscono a creare onde positive!

Nota: il seminario ” Lavorare in gruppo, le relazioni interpersonali/gestire il gruppo di lavoro ” è stato tenuto lo scorso mercoledì 17 aprile nella “Sala dei 90” presso la sede dell’Associazione Artigiani in Trento, nell’ambito delle iniziative sviluppate dal Tavolo collaborazione territoriale ICT, costituito da Informatica Trentina e dalle Associazioni di categoria.

L’articolo di Francesco Apuzzo si trova all’interno della newsletter di maggio di Informatica trentina; per visualizzare la newsletter cliccare qui

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