Autore archivio: ammininstratore

Performando al workshop organizzato da AIDP Triveneto: “L’Outdoor: esperienze a confronto”

Il 5 luglio, presso la sede di Safilo a Padova, si sono dati appuntamento i soci di AIDP – Gruppo Triveneto* (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) in un workshop, durante il quale sono state presentate esperienze di outdoor training, valutate particolarmente significative ed efficaci direttamente dalle aziende committenti.
Uno spazio rilevante del workshop è stato affidato alla direzione del Personale ed Organizzazione di Safilo, insieme ad Andrea Di Lenna (direttore di Performando) che hanno presentato il percorso di team building basato sul modello “formazione e sport”, messo a punto da Performando, e che ha visto come protagonisti circa 100 manager di Safilo tra settembre e dicembre 2006.
L’intervento di Andrea Di Lenna si è focalizzato, inizialmente, sui parallelismi tra sport e mondo del lavoro, per poi soffermarsi sul gioco del Rugby che, in virtù dei suoi valori e peculiarità, si presta particolarmente ad essere preso come metafora delle dinamiche organizzative.
L’ultima parte dell’incontro è stata dedicata alla descrizione della struttura di massima degli interventi di “sport e formazione” ed al ruolo determinante svolto dal testimonial sportivo, partner di Performando durante i corsi di formazione basati sulla metafora del rugby: John Kirwan.
Interesse e curiosità hanno caratterizzato gli interventi e le domande che sono state rivolte ai relatori alla fine del workshop, confermando l’attenzione che le aziende stanno sempre più dedicando attenzione ad attività formative “fuori confine” che ad oggi caratterizzano l’approccio specifico di Performando: esperienze di formazione uniche ed irripetibili.

*AIDP è un associazione nazionale i cui soci operano in funzioni direttive, di responsabilità e di consulenza nei settori del personale di aziende pubbliche e private.
AIDP Triveneto è composta da direttori del personale, direttori generali, consulenti, formatori, comunicatori d’impresa, amministratori del personale, professori universitari, responsabili delle Agenzie di Lavoro, funzionari di Associazioni imprenditoriali, esperti e studiosi di organizzazione, gestione e sviluppo: donne e uomini “del fare”, impegnati nella valorizzazione delle persone nelle organizzazioni.

Campioni della solidarietà a nuoto tra Scilla e Cariddi

La mattina del 6 agosto un gruppo di atleti ha affrontato a nuoto uno dei bracci di mare più impegnativi del Mediterraneo: lo stretto di Messina.
L’impresa, che si è svolta in seno alla 42° Traversata dello Stretto (gara internazionale di nuoto di fondo sulla distanza di 5,5 Km), non era animata da fini competitivi o agonistici, ma dall’impegno civile teso a supportare e sviluppare l’associazione “La Colonna”, attiva nel sostegno e il supporto alla riabilitazione delle vittime di incidenti che provocano lesioni spinali permanenti. L’iniziativa è stata appoggiata da FC Consulting Group, Performando ed altri prestigiosi sponsor, fra cui Trenitalia (che ha curato il trasporto di atleti ed attrezzature), il gruppo Mit e Voice, Tim, Motorola e Cellularline, che hanno garantito una raccolta di fondi superiore a 70.000 Euro.
La traversata si è svolta senza imprevisti ed abbandoni, ed ha visto i portabandiera dell’associazione, capitanati da John Kirwan, già giocatore della nazionale neozelandese di Rugby (i leggendari All Blacks), tagliare il traguardo con un tempo di un’ora e 40 minuti, vincendo così la sfida con le correnti dello stretto, incarnate dalla mitologia classica nei mostri Scilla e Cariddi, sempre in agguato ai lati del tratto di mare.
Affrontate brillantemente le difficoltà dell’atto sportivo, l’iniziativa si concluderà martedì 5 settembre a villa Belvedere a Mirano, con una serata di gala che vedrà la partecipazione dei nuotatori coinvolti nella traversata e numerosi testimonial che hanno accettato di prestare la loro immagine a supporto dell’associazione: tra essi citiamo Daniele Scarpa, Manuela Levorato, Marco Bortolami, Rossano Galtarossa, Andrea Longo, Paolo Dal Soglio, Gennaro Gattuso, Silvia Pizzato, Alessandra Truccolo, Carlton Myers, Pasquale Gravina, Silvio Martinello, Valerio Vermiglio, Dia Fabe, Antonella Bizioli e Manuela Di Centa. Nel corso della manifestazione gli sponsor consegneranno a Giancarlo Volpato, Presidente dell’associazione, i fondi raccolti grazie all’iniziativa.

D. Boesso – Baxi Italia

Il valore della tradizione a servizio dell’innovazione

Intervista a:

Dino Boesso, Direttore Risorse Umane di Baxi Italia Spa

A cura di Adriano Capelli

 

baxiIl profilo dell’azienda

Baxi Italia è la filiale italiana di Baxi Group, azienda multinazionale specializzata nella produzione di caldaie, con sede a Bassano del Grappa e stabilimenti produttivi in Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Turchia e Danimarca.

Baxi Italia è un’azienda metalmeccanica con circa 900 dipendenti ed un fatturato intorno ai 300 milioni di Euro all’ anno. L’azienda opera nel settore del riscaldamento, producendo principalmente caldaie murali, scaldabagni elettrici, caldaie a terra e recentemente prodotti che integrano la gamma con nuove tecnologie , risparmio energico e sistematica riduzione dei consumi. Baxi Italia è un’azienda che negli ultimi anni ha avuto crescente successo con notevoli incrementi di fatturato, di cui un terzo realizzato in Italia e due terzi all’estero, tra Gruppo e Clienti direttamente gestiti da Baxi. I principali mercati sono l’Europa occidentale, l’Est Europa la Turchia, la Cina. Oltreoceano è ben radicata inpaesi quali Canada, Argentina e Venezuela: una società con ione realmente internazionale.

Per maggiori informazioni sull’azienda: www.baxi.it

Nell’attuale contesto internazionale c’è una parola chiave presso la vostra azienda: “tradizione”. Malgrado si parli di modernità e tecnologie, nell’azienda ci sono persone (come quadri di quaranta anni che hanno 20 anni di percorso in Baxi e Dirigenti con ancora più anni di servizio) che amano parlare di “tradizione aziendale” da trasferire alle giovani leve. Mi può parlare un po’ di questa caratteristica aziendale, oggi così rara?

Questa è una azienda che è rinata all’inizio degli anni 80 dopo varie vicissitudini. Siamo tradizionalisti ma allo stesso tempo vogliamo essere anche innovatori. Abbiamo sempre cercato di mantenere il background culturale nel modo di intendere il lavoro, proponendo, al contempo, una continua innovazione sia verso la cura del prodotto che verso i processi interni, volendo stare al passo con i tempi. Io dico sempre che un sistema che si ferma è un sistema che va indietro, quindi poniamo molta attenzione alla formazione e all’aggiornamento. Anche l’inserimento periodico di persone che vengono dall’esterno, tra cui anche voi consulenti, portano novità e freschezza. Questo è un aspetto importantissimo se non si vuole perdere terreno. Investiamo molto sul personale interno anche perchè questa è un’azienda che come politica tende ad assumere i giovani, neolaureati e neo diplomati, e li segue da un punto di vista formativo. Allo stesso tempo cerchiamo di trasferire loro i valori su cui si fonda l’azienda. Per questo si parla di tradizione in termini positivi, non nel senso di stare fermi. Andare avanti facendo tesoro delle esperienze professionali ed etiche del passato. Siamo un’azienda con un’anzianità media bassa, quindi abbastanza giovane. Inoltre, entro poco è prevista l’entrata di una new deal di Dirigenti giovani, ma con sufficiente esperienza, che affiancheranno i più anziani, quantomeno di servizio, Dirigenti Senior.

Oltre che a lavorare con giovani del luogo, quindi nella provincia di Vicenza, sembra che negli ultimi tempi vi siate progressivamente aperti a persone che vengono da realtà estere o da altre regioni. Per quali ragioni?

Diciamo che l’azienda ha poco turn over, quindi vuol dire che la gente si trova bene. È chiaro che se si parla di neolaureati o neodiplomati tendenzialmente rimaniamo in zona, in quanto la zona di Bassano è servita bene avendo vicine l’università di Venezia e di Padova o lo stesso CUOA di Vicenza. Intorno a Bassano c’è una buona struttura in termini di scolarità . E’chiaro però che quando vogliamo portare in azienda una qualche esperienza specifica allarghiamo l’area di ricerca e apriamo gli orizzonti territoriali.

L’azienda è multinazionale con una grande spinta internazionale e una grande spinta alle tecnologie da migliorare, all’innovazione, alla lean production. Si respira però quest’area molto familiare che sembra essere una cosa abbastanza rara in una multinazionale così strutturata…

E’ un azienda che non ha molti conflitti. In alcune aziende il rapporto tra la direzione di un Ente e un’altra sono molto burocratizzati. Da noi, invece, tradizionalmente abbiamo un rapporto interni semplici e scorrevoli. Senza nulla togliere all’organizzazione e quindi alla gerarchia, abbiamo sempre favorito i rapporti orizzontali, nel senso che un tecnico dell’area industriale, se deve parlare con un tecnico dell’area ricerca o un addetto al personale, lo può tranquillamente fare senza troppe difficoltà. Abbiamo sempre più abituato le persone a non farsi paralizzare dalla gerarchia. Se vi sono decisioni importanti si passa attraverso la gerarchia, altrimenti le persone vanno in diretta e si parlano affrontando il problema e dialogando con facilità: questo è un elemento culturale che abbiamo sempre sottolineato e voluto.

In tutte le aziende c’è oggi un grande movimento legato alla crescita dei propri quadri e dei propri dirigenti attraverso il supporto di strutture di formazione e consulenza. Negli ultimi tempi vi siete avvicinati sempre più non solo alla formazione tecnica, ma anche a quella manageriale/comportamentale per favorire il consolidamento della leadership nei gruppo nonchè la gestione del personale in situazioni complesse. E’ un trend che intendete proseguire e consolidare?

Lei ha centrato i nostri fabbisogni : la formazione tecnica e la formazione manageriale/relazionale. Sicuramente negli anni passati si puntava moltissimo sulla preparazione tecnica, quindi il fatto gestionale, la conduzione del team e i rapporti relazionali venivano dati quasi per scontati e avevano un peso minore rispetto a quella che è l’attuale necessità. Le stesse dimensioni dell’azienda, associate al fatto di dover essere presenti in tutto il mondo in un gruppo internazionale, ha reso complesse le varie relazioni con i colleghi francesi, tedeschi, francesi, inglesi e turchi. Questo ha accelerato il bisogno di possedere una capacità relazionale e di approccio interculturale più alti rispetto al passato. Ma la stessa complessità sociale e la crescita culturale media richiede qualità di gestione delle relazioni e dei team fondamentali per portare avanti progetti importanti. Infine il fatto di essere un gruppo internazionale con una clientela internazionale ha reso fondamentale una crescita anche negli aspetti di comunicazione. Personalmente vedo una grossa differenza tra il capo ed il leader: attualmente viene richiesto che chi ha il ruolo di capo sia anche un leader, dove essere leader vuol dire avere le conoscenze e le esperienze adeguate nonchè la capacità di confronto e relazione con i propri collaboratori. Questa è una necessità che è ormai ineludibile e alla quale abbiamo dovuto necessariamente rispondere.

Dal nostro osservatorio abbiamo notato come gli “assetts intangibili”, come la relazione, la gestione dei collaboratori, della propria squadra, la conduzione dei rapporti più in generale, da qualche anno definiscono le carte valoriali delle più grandi aziende multinazionali. Tali aziende hanno iniziato anche a metterli a bilancio , cosa che per noi “latini” sembra impossibile. Come mai secondo Lei siamo così in ritardo su questi elementi?

Sicuramente gli anglosassoni per cultura tendono a quantificare tutto, mentre noi latini siamo meno attenti a questi aspetti, anche se in realtà poi, come lei ha avuto modo di vedere, facciamo considerazioni sul potenziale e sul suo sviluppo basandoci su strumenti anche quantitativi. Un grosso intervento lo stiamo facendo proprio sulla squadra dei nuovi dirigenti e quadri. Stiamo lavorando parecchio anche su indici quantitativi proprio per valutare questi aspetti considerati fino a poco tempo fa “intangibili”.

Esiste una pressione dell’azienda sui giovani per renderli maggiormente “competitivi”?

Certamente sì. Siamo in un momento delicato, in cui si cerca di gestire al meglio la successione tra Dirigenti Senior – per essere chiari quelli della mia generazione- e quelli Junior che dovranno prendere gradualmente in mano la stanza dei bottoni. Il progetto su cui stiamo lavorando da qualche anno è quello di preparare il passaggio al di là delle competenze, investendo così anche sull’aspetto relazionale utilizzando diversi approcci e contenuti formativi. Sia i futuri dirigenti che gli stessi quadri stanno vivendo la necessità di sviluppare la propria componente relazionale considerata ormai “un fattore determinante”. Mentre negli anni scorsi le persone non chiedevano questo tipo di intervento di supporto, ora è proprio questa necessità a far maturare una nuova consapevolezza: quella di essere, ad esempio, un bravissimo “ingegnere”, e quindi ottimo tecnico, ma non del tutto preparato a condurre la propria squadra e motivare il proprio team. Una componente importante secondo me, che sta anche rivoluzionando anche un po’ l’assetto della produzione dell’aziende, è data dai sistemi informativi, cioè dalle tempistiche della comunicazione. Faccio un esempio banale: qualche anno fa quando veniva inventato un prodotto, prima che un qualche paese estero riuscisse a copiarlo, ci voleva un tempo abbastanza lungo. Parecchi anni fa ci volevano decenni, poi sono diventati anni ed adesso, cominciano a diventare giorni . Quindi ciò che costringe a correre in questi anni è proprio la velocità con cui le informazioni circolano. Mentre prima la conoscenza era potere, oggi per il collaboratore è più facile trovare l’informazione, quindi il “capo” non è più l’unico “depositario” dell’informazione. Anche per questo bisogna costruire squadre efficienti, efficaci e produttive facendo in modo che ogni elemento del team sappia, attraverso buona comunicazione e attenta relazione, condividere le conoscenze.

Una domanda un po’ più rilassata. Visto che lei è un dirigente “storico” di quest’azienda, mi può raccontare una grande soddisfazione che ha avuto nel suo lavoro?

I primi anni sono stati particolarmente difficili: facevamo trenta-quaranta miliardi di lire di fatturato e ne perdevamo otto. Da quei tempi ad oggi la grandissima soddisfazione è vedere questa azienda crescere in volumi e in dimensioni : dopo trent’anni che sono a Bassano vedere un’azienda sana che è competitiva e che riesce a mantenere dei buoni risultati è entusiasmante. Dico sempre che questa azienda funziona bene perché ha un elemento particolare, che è la capacità di lavorare con efficacia in tutti i comparti aziendali. Riusciamo ad avere un buon processo produttivo, riusciamo a governare bene la finanza , il prodotto è sempre aggiornato, il personale viene gestito “correttamente”, e quindi l’esito è quello di vivere in una azienda che porta buoni risultati un po’ su tutte le aree, cosa che viene sistematicamente confermata dal confronto con le altre realtà del Gruppo. Abbiamo un discreto risultato economico, non abbiamo troppe spese generali, abbiamo un’incidenza della struttura che non è elevatissima. Personalmente poi faccio sempre il ragionamento che ci sono due costi in azienda: il primo è quello specifico dell’azienda (materiali, personale…), il secondo riguarda il passaggio dall’azienda alla “strada”, dove ci sono un’altra serie di costi non secondari che vanno gestiti bene. Secondo me la nostra competitività è più forte dall’azienda alla strada, forse è l’area in cui eccelliamo maggiormente. Quindi, tornando alla Sua domanda, mi da soddisfazione avere lavorato in questa azienda per trent’anni e vederla ancora , dopo un periodo così lungo, ad un ottimo livello di competitività e ancora con ampi margini di crescita.

M. Cavara – Vygon Italia

“La formazione come strumento fondamentale per la crescita e lo sviluppo dei manager in Vygon”

Intervista a:

Ing. Mauro Cavara Direttore Generale VYGON ITALIA SpA

A cura di Adriano Capelli

cvygonM. Cavara

Il profilo dell’azienda

Vygon Italia è la filiale italiana di un’azienda multinazionale francese che produce e distribuisce dispositivi medici, perlopiù monouso, di elevato standard qualitativo. Produce in sette diversi siti e distribuisce attraverso una rete di 18 filiali, che le garantiscono la presenza dei prodotti Vygon in 120 paesi nel mondo.

Per maggiori informazioni sull’azienda: www.vygon.it

Ing. Cavara, quali sono le previsioni per il prossimo triennio ?

Come Vygon prevedo che non ci sarà una ulteriore crescita particolarmente consistente del personale: è presumibile che in tre anni si possa arrivare alle 40 persone di sede, ma dipende molto da come si svilupperanno le vendite sul territorio. Con Vytech, invece, in tre anni si dovrebbero raggiungere una decina di dipendenti, con crescita continua e programmata.

Quali sono le maggiori criticità che hai potuto riscontrare negli ultimi tempi nell’inserimento di nuovo personale?

Le difficoltà principali sono dovute al fatto che è sempre più difficile trovare persone che abbiano un livello di aspettative adeguato alle loro effettive capacità e dall’altra parte che abbiano voglia veramente di mettersi in gioco e darsi da fare. Il livello di base è sempre più modesto, ci sono molti più laureati di una volta , la cui qualità è però progressivamente decaduta. Quindi persone che sulla carta hanno capacità e preparazione, ma poi, all’atto pratico, dimostrano lacune significative, con un sistema scolastico che evidentemente non riesce a fornire una preparazione utile all’impresa. Inoltre il contesto sociale ed occupazionale genera aspettative economiche e di ruolo che non sono spesso commisurate alla loro capacità di generare reddito per l’azienda. In molti casi poi non c’è l’umiltà necessaria per affrontare la “gavetta”. Infine i lavori più manuali o più semplici vengono accettati con fatica e difficoltà: purtroppo un’azienda non può essere formata solo da quadri e dirigenti. La nostra azienda fa il possibile per creare percorsi di crescita per le persone capaci, però le dimensioni attuali non offrono possibilità infinite ed i percorsi di crescita partono comunque generalmente dal basso. Tutto questo può generare insoddisfazioni e tensioni non sempre di facile gestione. L’azienda poi deve provvedere in proprio alla maggior parte della formazione, con i relativi costi e tempi per ottenere personale efficiente.

Cosa manca, secondo lei, ai giovani manager con età inferiore ai 35 anni, con buona esperienza sul campo, ma scarsa esperienza direzionale?

Manca spesso la capacità di gestire con efficacia le persone, compito tra l’altro difficilissimo che richiede preparazione specifica, allenamento ed esercizio quotidiano. Allo stesso tempo c’è una difficoltà ad uscire dalla gestione del quotidiano per avere una visione ampia dei problemi e quindi delle soluzioni. Questo porta talvolta ad errori, ad esempio nella gestione delle priorità. Fare il dirigente vuol dire riuscire a progettare e costruire il domani, per sé e per l’azienda: bisogna avere lo sguardo ampio, sapere dove si vuole andare, senza trascurare il quotidiano ed i piccoli problemi (sono sempre i dettagli che fanno la differenza), ma riuscendo sempre a contestualizzare tutto nel processo di più ampio respiro.

Pensa possano essere utili delle attività formative che preparino questi futuri manager alla gestione del personale e dei collaboratori?

Per mie caratteristiche e convinzione personale credo molto nell’aggiornamento e nella formazione continua. Ma ritengo fondamentale che la formazione, soprattutto quella che forma manager o capi settore o personale di front-line di vendita, sia molto esperienziale e votata alla concretezza. Desidero sempre più che i miei uomini possano utilizzare gli strumenti formativi e attivarli nella pratica. In questo senso richiedo corsi specifici e ad hoc con case-histories da studiare e mettere a fuoco, utilizzando fasi operative e specifiche di role-playing, che permettano ai partecipanti di capire concretamente come utilizzare le nuove tecniche ed informazioni acquisite nel loro lavoro di tutti i giorni. Le persone poi riescono a portarsi a casa strumenti operativi e a diventare più concrete, a meglio riprodurre in pratica la teoria. Perché, in un corso, avuto l’esempio e capito cosa vuole dire, i discenti devono essere monitorati con feed-back post-corso proprio per capire chi è riuscito a rendere contestuale al suo lavoro il corso esperito e chi non è riuscito nell’intento. Anche su questo abbiamo ancora molto da lavorare.

Con Performando abbiamo lavorato molto concretamente sui bisogni reali formativi e sul clima aziendale, con miglioramenti significativi, anche se, in questo campo, c’è sempre da migliorare. E non trascurerei l’aspetto del coaching, su cui lei ha fornito un contributo fondamentale, ma che deve essere trasversale e che credo possa essere il metodo di formazione continua più importante in azienda.

In Vygon Italia vi è un numero di impiegate che supera quello degli impiegati. Gli uomini però, nei ruoli più direttivi, hanno una quasi assoluta preminenza. Lei crede che nel prossimo futuro qualche dirigente donna possa fare parte della famiglia Vygon ?

Sull’opportunità e possibilità assolutamente sì, indubbiamente scontiamo dei retaggi storici, culturali nonché sociali in senso generale, ma anche nel nostro specifico contesto. E’ indubbio, purtroppo, che le donne, in una certa fase della vita che coincide poi spesso con quello che è il principale periodo di sviluppo della carriera, si trovano spesso a dover far fronte al problema della famiglia e dei figli. Questo, in assenza di supporti sociali adeguati, le costringe spesso a fare delle scelte che sono penalizzanti per la loro crescita organizzativa. Oggettivamente le aziende vivono con difficoltà queste necessità: il tempo che viene richiesto oggi in alcuni ruoli dall’azienda, soprattutto di responsabilità manageriale, è elevato e purtroppo spesso incompatibile con l’organizzazione familiare. Gli uomini invece spesso il tempo se lo ricavano, non di rado a spese delle donne. Dal mio personale punto di vista, credo quindi che una maggior presenza femminile nelle posizioni di vertice della nostra azienda sia certamente possibile, anche se tuttora complicata. Dipende da come una “signora in carriera” riesce a gestire le varie attività, soprattutto la ricerca dell’equilibrio tra gli aspetti familiari e quelli meramente lavorativi. Il contesto però sta cambiando per cui posso dire che vedo un ottimo futuro per le donne manager, anche qui in Vygon

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Un’ultima domanda: cosa vorrebbe che succedesse, al giro di boa dell’anno 2008, per essere realmente soddisfatto?

Riuscire ad aumentare il fatturato aziendale e realizzare progetti relativi allo sviluppo di prodotti, all’implementazione di servizi a favore del cliente ed a strumenti di gestione più raffinati. Il tutto coadiuvato dallo sviluppo delle capacità e delle competenze del personale utili a supportare questi sviluppi. Tutto ciò potrebbe aiutarci a reperire le risorse finanziarie che servono ad investire ulteriormente nello sviluppo di questa azienda.

Il mentoring. Una guida saggia, un modello positivo a cui ispirarsi per crescere

 

a cura di Paolo Mezzaroba
Human Resources Manager presso Sit Group

“Dimmi Francois, qual’è la tua filosofia della leadership? Tu come ispiri la tua squadra a dare il meglio?” chiede Nelson Mandela, nella scena centrale del film Invictus, al capitano della nazionale sudafricana di rugby che si accinge ad affrontare i favoritissimi neozelandesi nella finale del Campionato del Mondo in Sudafrica.

Mandela sa che gli Springboks dovranno superare se stessi per battere i favoriti All Blacks e realizzare non solo il loro sogno di vincere la Coppa del Mondo, ma anche quello, del Presidente in primis, di vedere tutto il popolo sudafricano, senza distinzione di razza, gioire unito sotto un’unica bandiera. Per questo, Mandela ha invitato il capitano a prendere un thè nel riservatissimo salottino del palazzo presidenziale.

“Con l’esempio, ho sempre dato l’esempio per guidarli” risponde Francois.
“Questo è giusto. Ma come fare a renderli migliori di quanto loro credono di essere? E’ questo che io trovo difficile” confessa Mandela.

E’ sostanzialmente la stessa domanda che, come Direzione Risorse Umane ci siamo posti, fin dalle prime fasi di progettazione di Managerial Paths, interrogandoci su come favorire gli allievi nell’esprimere tutte le proprie potenzialità e su come fare in modo che i Project Works finali diventassero l’occasione per renderli consapevoli di una crescita professionale e relazionale di cui essi stessi si sentissero protagonisti.

La risposta è stata trovata nell’attribuire un Mentore, ovvero un manager del Gruppo Sit, a ciascun allievo (Mentee). Per la prima edizione di Managerial Paths, sono stati identificati e nominati 7 Mentori che si sono presi in carico i 9 Mentee.

Ma cos’è più precisamente un Mentore e quali sono gli scopi dell’attività di Mentoring di cui Sit Group, distinguendosi nel panorama delle aziende italiane, si è voluta dotare?

Il Mentore (personaggio mitologico dell’antica Grecia) è una sorta di consigliere fidato, una guida saggia, un modello positivo ma comunque senza legami gerarchici con il Mentee.
Il Mentore si pone a fianco del Mentee per facilitarne l’orientamento all’interno dei processi organizzativi dell’azienda, al fine di reperire più velocemente le informazioni di cui ha bisogno per realizzare i propri obiettivi (il Project Work nel caso specifico di Managerial Paths).
E’ colui che “fa luce” sulle dimensioni che il Mentee deve costantemente allenare: la dimensione tecnica (la consapevolezza di doversi tenere professionalmente aggiornato); la dimensione mentale (il problem solving, la gestione del tempo, l’organizzazione delle proprie attività); la dimensione emotiva (la relazione con i propri stakeholders).
L’attività di Mentoring trova i suoi presupposti fondamentali nello stabilire tra Mentore e Mentee una relazione facilitante, basata sulla fiducia, sulla trasparenza e sulla sincerità perchè non si giudica la prestazione ma si cerca di favorire l’imprenditorialità dell’agire compresa la capacità di prendersi dei rischi.

Una relazione che nasce e si costruisce in un ambiente protetto perchè nulla trapela al di fuori delle quattro mura in cui i due s’incontrano non a cadenza prefissata ma ogni qualvolta il Mentee ne senta il bisogno.

Una relazione dove il Mentore aiuta a fissare gli obiettivi, cerca di far apprendere piuttosto che di impartire insegnamenti, tenta di liberare le potenzialità del Mentee e di portare al massimo il suo rendimento lasciandolo libero di fare la scelta finale e di sbagliare, se ciò serve a farlo crescere, ma sempre pronto ad re-indirizzarlo, a suggerire e soprattutto ad ascoltarlo per trovare insieme a lui le soluzioni alternative per ripartire.

Una relazione dove il Mentee porta i propri problemi, i propri sogni, le proprie ambizioni ed il Mentore utilizza esempi di successo ed insuccesso anche personali (story telling) sia per suffragare la bontà delle eventuali soluzioni trovate sia per ispirare il Mentee fornendogli quell’energia mentale ed emotiva che gli consente di trovare fiducia in se stesso e gettare il cuore oltre l’ostacolo.

Nel colloquio a tu per tu con Francois, messo a proprio agio da una fumante tazza di thè nel salottino protetto del palazzo presidenziale, il presidente Mandela, splendido esempio di mentore del Capitano della nazionale di rugby sudafricana che vincerà la finale contro i neozelandesi, e indiscutibile leader di un’intera nazione che vince l’apartheid, così risponde alla domanda, lasciata sospesa all’inizio di quest’articolo, su come fare per rendere i componenti di una squadra migliori di quanto loro credono di essere: “Con l’ispirazione è possibile.” “Ma”, continua subito dopo “come facciamo ad ispirare quelli che ci circondano?. “A volte credo che la risposta sia nel lavoro di altri. …..Io ricordo quando m’invitarono alle Olimpiadi del ’92 a Barcellona: tutti i presenti allo stadio mi accolsero con una canzone (l’inno nazionale Sudafricano). A quei tempi il nostro futuro sembrava molto fosco ma a sentire quella canzone intonata dalle voci di persone provenienti da tutto il pianeta, mi fece sentire orgoglioso di essere Sudafricano, mi diede l’ispirazione di tornare a casa e fare meglio. E m’incoraggiò a pretendere di più da me stesso”.

Abbiamo bisogno d’ispirazione Francois, perchè per poter costruire la nostra nazione dobbiamo tutti cercare di superare le nostre aspettative.”

Ecco, il cuore dell’attività di un Mentore sta tutta in queste parole ed in questi comportamenti.

Per costruire un futuro di successo per Sit Group dovremmo tutti imparare ad essere dei Mentori verso qualcuno con cui stiamo lavorando e, in una sorta di circolo virtuoso, cercare d’ispirare l’azione dei nostri colleghi e collaboratori, per fare emergere, soprattutto nei più giovani, quel coraggio, quella passione e quel talento rimasti inespressi ma capaci, una volta manifestatisi, di spezzare la routine quotidiana e di cambiare e migliorare la nostra azienda.

“Non costa nulla e fa la differenza. E vi rende leader” ha scritto una collega Mentore.

Ma anche voi, più giovani, non abbiate paura di chiedere consigli, non abbiate imbarazzo nel cercare aiuto per essere guidati a far meglio, per crescere come professionisti, come leader, come squadra ma anche come uomini, “per diventare voi stessi Mentori generosi di altri”.

I feedback degli studenti del corso Metodologie della formazione dell’Università di Padova

Nicola Ceron
Il percorso fatto in queste lezioni mi ha lasciato molto non solo in termini “lavorativi” e di studio ma anche, e soprattutto, in ambito personale.
Balza subito il ricordo dell’incontro con Pasquale Gravina ed il profondo messaggio lasciato; mi porto a casa la consapevolezza di credere negli obiettivi e di trarre spunto dalle sconfitte vissute (cosa in cui credo molto ma che è sempre bene tenere a mente).
Per quanto riguarda l’aspetto didattico posso solo dire che per me è stata una conferma di quello che pensavo:credo moltissimo nella formazione esperienziale!
Le mie aspettative iniziali credo siano state completamente soddisfatte; sono già dentro il campo della formazione come volontario in più associazioni ed ho avuto le nozioni teoriche necessarie a riempire le lacune che avevo.
Mi è dispiaciuto solo avere poche ore e non avere avuto la possibilità di provare un outdoor o anche solo “visitare” qualche luogo dove si fanno corsi del genere per poter capire le dinamiche sul campo; leggere le slides o vedere delle foto rende sempre meno in confronto alla possibilità di vivere di persona qualcosa.

Silvano Marini
Ho trovato molto utile il modo di affrontare le lezioni mettendo insieme esperienze concrete,subito applicabili e nozioni teoriche: in questo modo sono riuscito a fissare meglio i concetti.
Mi sono trovato bene anche perchè gli argomenti affrontati “fuori programma” ,come il silenzio in aula, mi hanno stuzzicato ancora di più a comprendere e,soprattutto, hanno aumentato la mia voglia di approfondire.
L’unica critica è stata la difficoltà a prendere appunti su alcuni aspetti puramente teorici affrontati a livello pratico, ma d’altra parte è proprio ciò che ha stimolato la capacità di collegare gli argomenti e cercare di creare da solo una trama e un ragionamento. Grazie per ogni proposta e spero che in futuro quest’esperienza venga rivolta anche ai prossimi “futuri formatori” di questo corso di laurea.

Ilaria Scremin
Premessa: quando ci avete consegnato l’ orario e ho visto che le lezioni di laboratorio del prof. Di Lenna sarebbero state per la maggior parte al giovedì mi è venuto un colpo, perché il giovedì non posso mai frequentare per impegni di lavoro.
Inizialmente ho pensato di comunicare dove lavoro che non sarei più potuta andare, poi però mi sono organizzata, ho individuato quali sarebbero state le lezioni più importanti, e sono riuscita sia a tenere il lavoro che frequentare il corso, perdendo solo 2/3 lezioni.
Premesse a parte, voglio veramente dire grazie ai nostri professori e allo staff di “Performando”, perché sono finalmente riusciti a togliermi numerosi dubbi su chi fosse sto maledetto formatore e soprattutto me lo hanno fatto amare; piano piano sto iniziando a fare ordine nella mia testa e a capire che voglio fare nel mio futuro.
Ritengo che sia fondamentale dare agli alunni opportunità così concrete per rendersi conto di cosa stanno veramente studiando.
Quando torno a casa dall’ università e racconto alla mia famiglia o a mio moroso quello che facciamo a lezione mi ridono dietro e mi dicono: ma vai imparare qualcosa o ti fanno solo giocare?? Che università è???
Ma che ci vuoi fare… per capire e comprendere tutto ciò, dovrebbero fare dei corsi di formazione e solo allora, forse, capirebbero cos’è effettivamente la figura del formatore.
Mi sembra di aver detto tutto, grazie ancora e un grosso saluto al prof. Di Lenna, alla prof. Fedeli e a tutto lo staff di Performando.

Leggere narrativa letteraria allena la mente

a cura di Antonella De Robbio
Coordinatore biblioteche del Polo Giuridico
CAB Centro di Ateneo per le Biblioteche
Universita’ degli Studi di Padova

Riflessioni a seguito delle lezioni in aula al corso di formazione EMPOWERMENT INDIVIDUALE E ORGANIZZATIVO – MODULO STRATEGICO sul tema “Le convinzioni” Le 6 emozioni fondamentali (Ekman 1982) e in particolare “Cosa allenare: allenamento a 4 dimensioni”. Allenare la mente

Capire gli stati mentali altrui è una capacità fondamentale che ci permette di gestire il complesso di relazioni sociali che caratterizzano le società umana.

La capacità di percepire e identificare gli stati soggettivi altrui è uno dei processi più affascinanti dell’evoluzione umana, in particolare perché permette di entrare nello spazio delle relazioni sociali complesse, contribuendo a sostenere le risposte empatiche individuali entro le relazioni stesse.

Sono pochi gli studi di ricerca che hanno indagato sui meccanismi che favoriscono questa complessa abilità sociale conosciuta in Psicologia come Teoria della Mente (Tom in inglese), facoltà che inizia a manifestarsi nei bambini intorno ai quattro anni, per poi continuare a svilupparsi nel corso della vita e che ci permettere di “leggere” la mente dell’altro e di comprenderne gli stati mentali.

Tom ci è di aiuto nei casi di difficoltà interpersonali o per esempio nella gestione delle relazioni di gruppo, proprio perchè consiste nel saper attribuire degli stati mentali – desideri, credenze, intenzioni – a sé e agli altri. E’ possibile misurare questa abilità coN dei test per esempio chiedendo ai soggetti di identificare le emozioni provate da persone di cui si vedono solo gli occhi.

Una nuova ricerca pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista Science e messa a punto da David Comer Kidd e Emanuele Castano della New School for Social Research di New York, ha messo in luce i risultati di cinque esperimenti che hanno indagato l’effetto che la lettura di opere di “narrativa letteraria” ha sulla capacità di comprendere gli stati mentali degli altri.

Leggere un grande libro moltiplica le prospettive e acuisce la capacità di intuire cosa provano e pensano le persone che incontriamo nella vita reale.

Generalmente la “narrativa letteraria” si considera dotata di maggior valore artistico e culturale, rispetto alla “narrativa di genere” considerata stereotipata, commerciale, sensazionale, melodrammatica e sentimentale.

I ricercatori hanno scoperto che l’abilità di entrare in empatia con gli altri è influenzata dalle letture fatte, anche scontando le differenze nel livello di cultura dei partecipanti.

Gli articoli di argomento scientifico non aumentano l’empatia, del resto il loro scopo è informare, non emozionare. Ma nemmeno la lettura dei libri più venduti su Amazon lascia il segno. Si suppone che i lettori di narrativa di genere (il pubblico di massa) abbiano gusti letterari più grossolani rispetto ai lettori di narrativa letteraria e spesso i titoli di grande successo, come i best seller hanno meccanismi prevedibili e personaggi piatti che invece di sfidare il lettore, confermano i suoi automatismi e le sue aspettative. La narrativa di genere è quindi essenzialmente vista come letteratura destinata al mercato di massa.

Libri di grandi autori come Alice Munro – Premio Nobel 2013 – o Anton Cechov ti aprono le porte di altri mondi interiori e ti cambiano.

Lo studio ha dimostrato come la lettura di narrativa di qualità, romanzi di grandi autori, porti il lettore a migliori prestazioni cognitive, migliorando la capacità di individuare e comprendere le emozioni altrui agendo sull’inferenza e la rappresentazione degli altrui credenze e intenzioni.

Lo studio ha coinvolto centinaia di lettori reclutati nella libreria online di Amazon, i quali hanno dovuto leggere alternativamente testi considerati di “bassa” narrativa e testi di “alta” narrativa.

Nella categoria narrativa letteraria sono stati selezionati il racconto lungo “Corrie” della Munro e la novella “Il camaleonte di Cechov”. Il protagonista della novella, il commissario Ociumielov, cambia più volte opinione e comportamento in un breve arco di tempo, a seconda delle informazioni che gli giungono sul caso che sta seguendo.

Dopo la lettura dei testi i lettori hanno affrontato dei test cognitivi.

La conclusione è che lo spartiacque tra opere letterarie e best-seller non è solo una questione di gusti, la differenza c’è e si vede.

Non è sufficiente la lettura di un libro qualsiasi per migliore la nostra mente, ma l’elemento chiave è rappresentato proprio dal tipo di narrativa di cui si fa uso.

Lo studio ha previsto tre diversi generi letterari.

Nella prima categoria che si riferiva alla narrativa “letteraria”, sono state “somministrate” opere di maggior prestigio letterario che raccontavano storie percepite come verosimili.

La seconda, la “narrativa di genere”, comprendeva romanzi di fantascienza.

La terza, denominata “non-fiction”, raggruppava tutte le opere non categorizzabili nei due gruppi precedenti, come ad esempio le opere a matrice storica.

“Se dovessi consigliare ai lettori italiani due libri di narrativa, non avrei esitazioni: “Il sogno di mia madre” e “Nemico, amico, amante…”, entrambi di Alice Munro. So che, in Italia, forse appena trenta persone conoscono che Alice ….”

Così si esprimeva Piero Citati nel suo saggio !La malattia dell’infinito. La letteratura del Novecento! Mondadori [2008 pag. 455-461], ben cinque anni prima che Alice Munro vincesse il Premio Nobel per la Letteratura 2013, definita dai media come la maestra del racconto breve, chissà perché, visto che in realtà il suo racconto più breve supera le cinquanta pagine.

Certamente non è una scrittrice minimalista.

Il risultato dello studio, precedente l’assegnazione del Nobel 2013 alla Munro, ha evidenziato che sono proprio opere di questo tipo a stimolare un maggior pensiero creativo, opere di maggior prestigio letterario che raccontavano storie percepite come verosimili.

Uno degli stratagemmi narrativi della Murno è insito nella sua capacità di aprire uno “spazio bianco” nel racconto dove il tempo del racconto può essere lungo decenni, un abisso temporale tra il presente e il passato, una frattura che sgomenta proprio perché fa parte del tessuto della nostra vita.

La deviazione narrativa è un altro degli stratagemmi letterari della Munro che nel raccontare un fatto non lo racconta descrivendolo, non tenta di narrare sensazioni o emozioni che quel determinato evento suscita, ma focalizza tutta una serie di dettagli laterali, collocando il fatto in questi dettagli apparentemente inutili dentro un contesto emotivamente intimo e forte.

I dintorni del fatto generano nel lettore “un’impressione di casualità e di gravità, che ci sembra assolutamente necessaria.”

A seguito di queste letture si instaura un coinvolgimento intellettivo superiore che permette di ottenere effetti positivi sulle abilità sociali.

La letteratura narrativa richiede un maggior coinvolgimento intellettivo del lettore, necessario per comprendere le mille sfaccettature che si snodano nel racconto e la complessità di ciascun personaggio.

I romanzi stimolano un processo intellettivo raffinato necessario per scrutare dentro ogni personaggio proprio come accade nella vita reale e dare senso al loro comportamento.

In altre parole ci mettono in sintonia con il mondo.

Formazione e team building a Maso Poli in Trentino

a cura di Mattia Sottovia

ll 25 giugno scorso la famiglia Togn, titolare di Gaierhof – Vinicola Valdadige Srl, ha ospitato i Giovani imprenditori di Confindustria Trento nella splendida cornice di Maso Poli (a Pressano-Trento), per una serata dedicata alla formazione, intesa quale strumento per lo sviluppo di legami solidi e strutturati tra i singoli imprenditori che compongono il Gruppo.

L’iniziativa si è concretizzata in un corso-esercitazione di “team building”, coordinato da Andrea Di Lenna e Francesco Apuzzo, della società Performando Srl, che si sono prodigati nel guidare i Giovani Imprenditori in un percorso esperienziale basato sulla realizzazione di precisi obiettivi attraverso il lavoro di squadra.

Condivisione, coordinazione e collaborazione sono state le leve attraverso le quali i formatori hanno cercato di stimolare l’interazione e la conoscenza tra tutti i partecipanti, favorendo la strutturazione di rapporti informali, ma con spirito proattivo.

Le metodologie utilizzate, basate sulla psicologia, sulle tecniche di gestione organizzativa e sul gioco, hanno consentito anche agli imprenditori di recente iscrizione al Gruppo di entrare rapidamente in sintonia con gli altri colleghi, e hanno rinvigorito in tutti i partecipanti il senso di appartenenza e la propensione alla partecipazione e alla condivisione delle esperienze.

Si è voluto creare l’occasione per un inserimento efficace dei numerosi nuovi iscritti registrati negli ultimi mesi di attività, e pertanto, al termine del momento formativo, si è provveduto a garantire a ciascuno di essi la possibilità di presentare sé stessi, la propria azienda e la propria attività.

Hanno quindi preso la parola Matteo Barbetta (Ecotop Srl), Serena Beber (Ecotop Srl), Martina Bosetti (Distilleria Bertagnolli Srl), Alessandro Fedrizzi (I & S Informatica e Servizi Srl), Francesco Orefice (Dial Srl), Vincenzo Orefice (Dial Srl), Serena Pancheri (Atis Srl), Mauro Preghenella (Eurovending Srl) e Michele Zadra (Zadra ltalpese Srl).

La serata si è poi conclusa con un’interessante visita aziendale, nel corso della quale Martina Togn (componente del Consiglio direttivo dei Giovani imprenditori) ha sapientemente coniugato interessanti informazioni sulla storia ed i valori dell’azienda di famiglia, con la spiegazione dei particolari processi che caratterizzano la gestione dei vitigni e la produzione dei vini e dello spumante del celebre marchio.

Un ringraziamento particolare viene rivolto dal presidente Alessandro Lunelli e dal Consiglio direttivo alla famiglia Togn per la splendida ospitalità e ad Andrea Di Lenna e Francesco Apuzzo (Performando), per aver messo a disposizione del Gruppo, gratuitamente, la loro professionalità ed esperienza, in uno spirito di grande amicizia e con risultati valutati in modo entusiastico da parte di tutti i partecipanti.

L’articolo è presente sull’edizione Agosto-Settembre di Trentino Industriale, bimestrale edito da Confindustria Trento.

Clicca su questo link per sfogliare la rivista (l’ articolo è a pagina 50)

La formazione è davvero un costo?

a cura di Angela Chiericati
Psicologa del lavoro
Partecipante al Master in Gestione delle Risorse Umane “People Management”
presso Cà Foscari Challenge School

Il contesto economico attuale ha portato varie realtà aziendali a ridimensionare il budget annuale e, inevitabilmente, a ridurre le spese legate ai progetti formativi reputando che l’apprendimento e l’acquisizione di nuove strategie siano un costo evitabile e, pertanto, debba essere accantonato e ripreso in tempi più floridi.

Ma noi siamo davvero convinti che sia proprio così?

A riguardo nutro qualche perplessità e, affidandomi ad un giudice imparziale, chiedo aiuto alla Storia in quanto essa trascende da ogni tipo di background socio culturale e racchiude, in tutta la sua pienezza, l’essenza dell’umanità.

L’evoluzione umana infatti ci insegna che il motore dello sviluppo e del miglioramento continuo sta nel prezioso segreto di porsi costantemente nuove domande, di avere una mente creativa e innovativa, assetata di nuovi contenuti, di sfide che mai nessuno ha osato porsi perché, essere un uomo-scienziato, richiede un impegno mentale molto faticoso e in continuo divenire, privo di verità assolute ma ricco di scienze inesatte e migliorabili.

Eraclito già a suo tempo l’aveva intuito e nelle parole “Panta Rei” è riuscito a racchiudere il senso profondo della formazione e dello sforzo adattivo dell’uomo che, in epoche diverse, affronta sfide nuove per rendere se stesso e la sua società migliore e maggiormente performante. Sorge pertanto spontanea la domanda:

Quale migliore momento se non quello attuale per mettere in pratica questo invito?

Lo stallo socio-economico che stiamo vivendo è, in quanto scoglio tra noi e la ricrescita, un crogiolo di nuove possibilità e di ripensamenti creativi del nostro fare impresa. E’ un’importante opportunità di rivedere il passato per progettare modalità innovative di proporci nel mercato, in modo da reinventare le vecchie logiche di business e solcare nuovi orizzonti.

Dobbiamo essere agenti di possibilità!

Il mio è un monito che lancio a tutti coloro che vogliono essere agenti di cambiamento e di miglioramento dello stato attuale delle cose, per avviare una nuova stagione ricca di professionalità, innovazione e creatività!

Questa è l’acqua

 

Paolo Vaona – International MBA CUOA, Candidate 2015
Riflessioni sulle lezioni di Leadership all’interno del International MBA della Fondazione CUOA

There are these two young fish swimming along and they happen to meet an older fish swimming the other way, who nods at them and says “Morning, boys. How’s the water?” And the two young fish swim on for a bit, and then eventually one of them looks over at the other and goes “What the hell is water?”

Cosa è l’acqua?

Durante la lezione di Leadership con oggetto il cambiamento, improvvisamente e senza preavviso mi tornò alla mente questa frase.

La connessione con l’argomento di cui stavamo discutendo era pressoché nulla. Eppure quella frase continuava a martellarmi la testa. Era qualcosa di profondo e sotto pelle, qualcosa che avevo sentito tanto tempo prima ma a cui non ero riuscito a dare un preciso significato.

Parla di questo il racconto all’inizio del discorso per la consegna dei diplomi che David Foster Wallace pronunciò il 21 Maggio del 2005 al Kenyon College. Il periodo era all’incirca lo stesso in cui Steve Jobs pronunciava il suo “Stay hungry Stay foolish”. Ricordo di aver ascoltato questi due discorsi nel Gennaio del 2009, poco prima di laurearmi.

Al tempo, chiaramente, le parole di Steve Jobs ebbero molto più appeal e motivazione rispetto al lungo e monotono discorso di Wallace. Parlando di cambiamento, le vicissitudini di Jobs avrebbero dovuto risuonarmi nella testa piuttosto che un lungo ed astruso discorso che inizia con una parabola dal dubbio senso. Eppure, mentre parlavamo e discutevamo in classe di come il cambiamento sia un processo, sia una scelta, sia qualcosa difficile ma che chiunque può applicare le parole del discorso di Wallace mi tornavano sempre più alla mente.

Il discorso, che vi invito ad ascoltare o a leggere nel libro di racconti brevi “Questa è l’acqua”, riflette su quale sia il valore dell’educazione e della libertà.

Libertà per Wallace significa avere il coraggio di pensare alle cose più semplici in maniera diversa, di avere il desiderio di guardare il mondo senza le nostre convinzioni di default.

Non nelle sfide, nelle decisioni strategiche ma partendo dal supermercato e da tutti quei momenti noiosi e di routine che attraversano la nostra vita.

Ecco, in quel momento, ripensando alle parole, mi sono accorto come il cambiamento, il non fermarsi alla superficialità delle esperienze, fosse il vero messaggio del discorso.

Il cambiamento come una lunga ed avventurosa sfida, che va contro il nostro atteggiamento automatico nel reagire agli eventi.

Il cambiare non come un punto preciso e netto nel tempo, ma come una presenza che permea ogni momento della giornata, da quella emozionante a quella noiosa. Questa è l’acqua dentro cui nuotiamo e sta a noi scegliere, ogni giorno, se riconoscerla o no e quindi se cambiare o no.

A questo link potete trovare un estratto del discorso:

“Questa è l’acqua” David Foster Wallace

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