La pratica riflessiva nella formazione

A cura di Sara Caroppo e Andrea Petromilli

specchioaC’ è un ponte tra la formazione esperienziale e l’apprendimento che si chiama formazione riflessiva. Alla base di tale approccio c’è la consapevolezza che i nostri vissuti e le nostre esperienze ci aiutano ad apprendere e migliorare quello che facciamo. Una possibile modalità per poter ottimizzare questo processo è “riconquistare quello che noi siamo e facciamo in modo inconsapevole”(I. Davidzon, 2007), che si può riassumere nell’espressione : riflettere per poi agire. È questo che una formazione di qualità dovrebbe facilitare: permettere a chi ne usufruisce di guardarsi dentro, di riflettere su quello che si costruisce fuori attraverso parole e azioni, per capire cosa si ha dentro. Collegare i risultati che si sono ottenuti, alle risorse che si sono utilizzate. E se questo non è avvenuto trovare in quel “limite” la volontà di migliorare,una sorta di sfida con se stessi.
Un altro aspetto fondamentale della pratica riflessiva riguarda l’assunto che le persone in realtà sanno più di quello che credono di sapere. La difficoltà sta nell’ esprimersi, nel trovare le parole giuste, o meglio nell’ essere consapevoli che ci siano parole più calzanti per apprendere dalle proprie esperienze. È un po’ come quando viene chiesto a un testimone di fare un identikit. Risulta difficile la descrizione dei dettagli del volto, il riconoscimento invece no. Questo proprio perché abbiamo dentro di noi più di quello che portiamo fuori. È questa la ragione per cui una formazione di tipo esperienziale, caratterizzata cioè da esercitazioni, role-play e sperimentazioni analogiche, risulta particolarmente efficace e coinvolgente.
Tale approccio permette infatti di vedersi all’opera,di guardarsi fare con curiosità, di riflettere autonomamente su quello che si è riusciti a fare o su quello che si sarebbe potuto fare, piuttosto che apprendere automaticamente ciò che sarebbe giusto fare (come spesso accade nelle “classiche” lezioni frontali).
In questo modo anche il formatore inizia a sperimentare un nuovo ruolo. Come afferma Shon, non è più solo un esperto di contenuti e diventa un “professionista riflessivo”. Il presupposto di base è la consapevolezza di non essere lui l’unico detentore del sapere; quanto piuttosto un “facilitatore” ed una fonte di apprendimento sia per lui che per i partecipanti. Non deve dare al partecipante dimostrazione della sua expertise, quanto piuttosto stimolarlo efficacemente per fargli cogliere dentro di sé pensieri e sensazioni. Il suo ruolo è quello di cercare connessioni con i vissuti delle persone in formazione, e per fare ciò a poco serve mantenere le distanze e conservare il ruolo di esperto.
Si tratta dunque di un “processo di apertura, di interazione e di ricerca evolutiva” (I. Padoan, Il professionista riflessivo, 2004), o per usare in gioco di parole, di una sfida nella sfida.

Menu