Grandi dimissioni? Forse… Parliamone!

a cura di Mario Bassini

Ormai ne discutono tutti, definendole magari all’inglese come “Great Resignation” oBig Quit; si interrogano e ipotizzano risposte circa i motivi di un fenomeno che viene dai più definito per certi versi sorprendente e inatteso. La sensazione è che ci sia ancora molto da valutare nei prossimi mesi in relazione a nuove evidenze, necessarie a confermare, o smentire, le attuali tendenze. Che comunque già oggi sembrano suggerire, a nostro parere e almeno per quanto attiene all’Italia, un atteggiamento forse meno sensazionalista.

Un’onda che parte di là dell’oceano

Il termine “Great Resignation” risulta essere stato usato per la prima volta da Anthony Klotz, psicologo e professore di Management alla texana Mays Business School (A&M University, College Station). Sui mezzi di informazione americani si sono succeduti articoli che hanno proposto il fenomeno, dandone possibili spiegazioni e anche suggerimenti alle aziende per indurre i propri dipendenti a “non mollare”. Normale che ci si interroghi anche da noi sui possibili riverberi, andando a leggere i numeri delle statistiche ufficiali e i racconti, più o meno fantasiosi, delle persone.

Scrutando attentamente i diversi contributi che nelle ultime settimane si sono accavallati su siti e pubblicazioni nostrane, la tentazione è quella di leggere il fenomeno con meno enfasi e maggiore realismo pragmatico. Sicuramente questo farà perdere un po’ di quella “narrazione romanzesca” accattivante che normalmente accompagna tutte le più o meno vere grandi rivoluzioni, ma speriamo abbia il merito di provare a razionalizzare e capire dove sta andando il trend di un mercato del lavoro sempre più imprevedibile e discontinuo.

Contributi ed evidenze numeriche

Di inizio mese l’articolo apparso su Uffingtonpost, che sotto il titolo “Mi licenzio, basta compromessi”. E’ l’anno delle dimissioni” propone un’attenta lettura di numeri molto significativi. 

Numeri e contributi alla discussione si trovano anche in diversi approfondimenti apparsi su Lavoce.info, in particolare un’analisi elaborata da Francesco Armillei (Pre-Doctoral Research Assistant STICERD, London School of Economics). 

Sullo stesso sito, Nicolò Giangrande, economista e ricercatore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, evidenzia come “Dai dati delle comunicazioni obbligatorie emerge…un incremento delle dimissioni già nel periodo prepandemico, quello 2017/2019. Poi chiaramente si è verificato un crollo nel primo semestre del 2020.” 

Invitando a sua volta e non limitarsi a una lettura congiunturale, che propone un quadro distorto dal confronto tra due trimestri pandemici, andando piuttosto ad allargare lo sguardo confrontando il secondo trimestre 2021 con lo stesso periodo del 2019, prima della pandemia, che evidenzia un incremento molto più contenuto (il più sopra evidenziato +10%), in linea con quanto avveniva già prima.

Avvicinando il focus, nel tempo e nello spazio, scopriamo che il livello delle dimissioni è elevato anche nel terzo trimestre 2021. I dati disponibili per il Veneto fino al 30 settembre, registrano infatti la prosecuzione dell’incremento delle dimissioni anche nei mesi estivi.

Il Veneto, sempre attingendo ai dati riportati da Lavoce.info, rappresenta un caso di studio particolarmente interessante anche relativamente al parallelo incremento del tasso di ricollocazione.

Il recente incremento delle dimissioni si è quindi accompagnato a una parallela dinamica del tasso di ricollocazione, segnalando un’accresciuta mobilità dei lavoratori dipendenti. 

Possibili letture e interpretazioni

L’aumento delle dimissioni è dunque oggettivo, consistente, trasversale a settori e professioni, età e sesso, e non appare episodico. Caratterizza soprattutto le aree più dinamiche economicamente del Centro-Nord del paese. Può sicuramente essere letto come un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro

L’incremento delle dimissioni è solo marginalmente interpretabile come effetto del ritardo determinato dalla pausa pandemica (dimissioni che, in condizioni normali, sarebbero già avvenute). Può certamente nascondere – seppur in misura statisticamente molto modesta – licenziamenti ancora impediti dalle norme.

Si segnala poi la possibile diffusione di strategie di lavoratori che si ricollocano, data la congiuntura positiva, anche anticipando possibili licenziamenti futuri: è soprattutto un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro con conseguenti processi di selezione riferita a settori e professioni. 

Le peculiarità del mercato del lavoro italiano 

In generale, da un punto di vista sociale, ci sentiamo di escludere l’accostamento con il mercato del lavoro statunitense perché è completamente differente sotto il profilo culturale e valoriale.

Tra le motivazioni più significative, la necessità di avere maggiore flessibilità del luogo di lavoro e la voglia di avere un incarico più mirato e soddisfacente. Appare evidente che le privazioni del periodo pandemico e le regole riscritte, specie in tema di smartworking, abbiano in qualche modo spinto verso la scelta del cambiamento. 

L’aspetto economico non è l’unico fattore che porta a scegliere un lavoro, e forse non è più neanche il principale, si cerca la soddisfazione, il benessere personale. 

Lavorando da casa le persone hanno avuto più tempo per sè, hanno potuto in molti casi “alzare la testa” dopo anni condotti con l’unico driver della prestazione a ogni costo, non potendo disporre neanche del tempo necessario per fare la spesa, e hanno iniziato a vivere in modo più sano. E quando le organizzazioni hanno iniziato ad annullare tutto questo, richiedendo nuovamente la presenza costante in ufficio, c’è chi ha scoperto di non avere nessuna intenzione di tornare alla precedente “normalità”.

Poi ci sono i più giovani: millennials (26-41 anni) e generazione Z (under 25) pare siano particolarmente attratti dai principi della cosiddetta Yolo economy (“You-only-live-once” economy), di cui è sostenitore anche il rapper canadese Drake. Si vive una volta sola, non ha senso farlo male, legati a lavori insoddisfacenti che condizionano negativamente la propria esistenza, grazie anche a capi insopportabili. In Italia la questione riguarda soprattutto i bassi salari e una domanda di lavoro poco qualificata. Un giovane formato, con alti livelli di istruzione e poche prospettive professionali, può decidere di cercare altrove, se necessario anche di emigrare.

Se poi volessimo anche chiederci cosa i datori di lavoro dovrebbero offrire per coinvolgere i dipendenti e trattenerli all’interno delle organizzazioni, le ricerche più recenti hanno posto in evidenzia l’equilibrio tra vita professionale e vita privata (51%) e le opportunità di avanzamento di carriera (43%), al vertice delle liste di priorità. Da non sottovalutare il clima dell’organizzazione, dal management al rapporto con i colleghi.

Riassumendo e guardando avanti

Il fenomeno delle “Grandi dimissioni” si conferma a nostro avviso avere rilevanza perlomeno attenuata rispetto a quanto emerge da altri mondi molto diversi dai nostri, per cultura e impostazione. Certo testimonia una mobilità del lavoro che riflette un significativo cambiamento dei tempi e del modo di pensare e di muoversi degli “attori” che sono oggi sul palcoscenico di questo mondo, che evidenziano esigenze, bisogni, priorità anche molto diverse rispetto a quelle di chi lo ha calcato negli ultimi 30/35 anni e ancora lo frequenta assiduamente, dato l’innalzamento dell’età pensionabile.

Appare sempre più evidente la necessità di sapere interpretare queste diversità e dare risposte adeguate e anche molto flessibili, a seconda di quelle che sono le diverse platee compresenti nelle organizzazioni attuali e future: solo chi saprà corrispondere prontamente a questo bisogno riuscirà a essere attrattivo e questo rappresenterà un vero fattore distintivo e vincente, soprattutto nella capacità di attirare e trattenere talenti e potenziali, competenze e conoscenze, semplicemente vitali per la sopravvivenza delle organizzazioni. La sfida è al tempo stesso avvincente e impegnativa, solo chi saprà dotarsi adeguatamente può candidarsi a vincerla.

Grandi o meno che siano queste “dimissioni”, aprono a più o meno grandi opportunità solo per chi sarà veramente in grado di coglierle!

Per leggere l’articolo completo, clicca qui

Menu