Autore archivio: Sara Caroppo

“Insegnare chimica con passione!” è possibile. L’evento con l’Università degli Studi di Padova.

a cura di Nicola Furlanis

Venerdì 8 settembre 2023 si è tenuta l’11° edizione di “Insegnare chimica con passione!”, il convegno annuale organizzato dal Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università degli Studi di Padova. Si tratta di un evento nato con l’obiettivo di creare uno spazio di condivisione riguardo le attuali criticità dell’insegnamento della Chimica ai giovani studenti della scuola secondaria. A sostegno di questa necessità, numerosi sono i dati che dimostrano la carenza di personale formato in materie STEM, area spesso penalizzata rispetto alle discipline umanistiche a causa di diversi stereotipi e pregiudizi. Inoltre, numerosi fatti di cronaca riportano situazioni sempre più conflittuali sul fronte della comunicazione tra docenti e alunni. Sembra essersi creato un divario tra questi due attori che, invece, per loro natura necessiterebbero di una vicinanza di intenti ed obiettivi. 

Come Performando siamo stati invitati per offrire il nostro contributo circa strumenti e metodologie per una didattica coinvolgente, punto di forza del nostro approccio. Se è vero, infatti, che possedere una padronanza dei contenuti è un requisito necessario per poter ricoprire un ruolo così delicato, molti sono i modi attraverso i quali è possibile trasferire la conoscenza. 

Trasmettere pure informazioni (Teaching) e coinvolgere ed appassionare gli studenti (Learning) sono due intenti che, se tenuti separati, generano movimenti differenti. In rappresentanza di questi due mondi troviamo la classica didattica frontale in contrapposizione alle recenti metodologie innovative, figlie anche dei cambiamenti storici che caratterizzano il nostro tempo. Piattaforme web per la didattica esperienziale, formazione online sincrona, asincrona e blended sono solo alcuni temi che hanno trovato un maggiore spazio soprattutto con la crisi pandemica, facendo emergere nuovi modi di praticare l’insegnamento.

Partendo da una condivisione di riflessioni sul tema, è stato significativo rilevare fin da subito la necessità di uno spazio di confronto da parte dei partecipanti. Sebbene i docenti provenissero da differenti istituti, è apparso immediato un comune bisogno e interesse a mettersi in gioco per esplorare nuovi territori con un unico obiettivo: riuscire a comunicare la Chimica stimolando passione e curiosità. E’ stato possibile sperimentare in prima persona esercizi comportamentali e modalità didattiche online interattive, strumenti utili per orientare l’attenzione di chi ascolta. A far da sfondo un principio guida della pratica professionale di Performando: l’apprendimento è tanto più efficace quanto più la persona ha la possibilità di fare esperienza, venendo coinvolta a livello emotivo

E’ emersa, inoltre, la necessità per chi lavora nel mondo della didattica di porre attenzione al contesto entro il quale questa prende forma. Velocità, necessità costante di nuovi stimoli, attenzione selettiva a breve termine sono alcune caratteristiche che fanno da sfondo all’interno della cornice che rappresenta l’attuale comunità studentesca. In qualità di formatori è fondamentale spostarsi da un’ottica di giudizio “giusto-sbagliato” ad una di “utilità:” alla luce di queste considerazioni, come posso essere utile a chi della Chimica potrebbe – potenzialmente – fare la sua professione? 

Si è giunti alla consapevolezza che è necessario andare oltre i propri riferimenti per esplorare ed attingere anche da altri settori professionali come lo sport e il mondo dell’illusionismo, estrapolando metafore e punti di vista differenti per creare ed innovare il proprio stile interattivo, relazionale e didattico. Comprendere che questo è possibile anche per l’insegnamento della Chimica e della Scienza e tradurre tale convinzione in progetti pragmatici sono gli ulteriori passi da compiere nei prossimi tempi. 

Ringraziamo la Professoressa Laura Orian e il Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università degli Studi di Padova, nonché tutti i docenti coinvolti in questa insolita esperienza, con l’augurio di poter fare della condivisione di queste opportunità uno strumento ricorrente. Per noi vale sempre ciò che ebbe a dire A. Schopenhauer, ovvero “Insegnando impariamo” .

Una nuova Performando

Performando festeggerà il prossimo anno vent’anni di attività.
E’ un traguardo significativo, soprattutto se si considerano gli eventi che hanno contraddistinto questo periodo temporale. Il tempo dei bilanci è maturato anche per fare una valutazione dell’onda d’urto generata dal Covid sulle nostre vite, sulle nostre abitudini e sugli aspetti organizzativi del nostro lavoro.

Come tutte le società, anche Performando ha subito dalla pandemia un forte impatto sul suo funzionamento operativo, ma ha anche generato qualche importante onda anche sui suoi aspetti strategici. In particolar modo, un primo significativo effetto è stata l’improvvisa sterzata gestionale delle aziende, che si sono rese conto da un momento all’altro di quanto fossero importanti le loro persone.

Questo ha spinto la maggior parte di esse a mettere finalmente “le persone al centro”, slogan già ampiamente conosciuto e indubbiamente inflazionato, ma valorizzato negli ultimi anni con maggior convinzione rispetto al passato. Almeno per quanto riguarda la presa di coscienza dell’importanza delle persone nelle aziende e delle relazioni efficaci e costruttive tra queste, elementi da sempre patrimonio valoriale di Performando, che li ha perseguiti fin dai primi giorni della sua attività, c’è quindi da riconoscere che il cambiamento generato dal Covid può essere considerato positivo.

C’è inoltre da osservare che negli ultimi due anni la relazione tra le persone è stata letteralmente sballottata da un’estremo all’altro. Il lockdown ha determinato la necessità di rimanere segregati, con la conseguenza di far esplodere lo smart working, una forma organizzativa di lavoro quasi sconosciuta fino a quel momento, ma anche le piattaforme Zoom, Teams e Meet, che hanno cercato di mantenere vicine le persone. Si sono poi diffusi in modo esponenziale webinar di qualsiasi tipo e su qualsiasi argomento, generando una prima fase di entusiasmo seguita subito dopo da un crollo di popolarità dovuta all’indigestione da monitor e dalla sedentarietà causata da seminari fiume on-line caratterizzati da scarsissima interazione.
Inoltre la formazione digitale e asincrona, una modalità alla quale la maggior parte delle persone non credeva per niente, noi in primis, ha invece dimostrato quali siano le enormi potenzialità della tecnologia in questo campo. Infine, si sono sviluppate notevoli sinergie tra persone e organizzazioni, che hanno cercato di far fronte comune nei confronti degli effetti devastanti della grande pandemia.

Ma andiamo per ordine, cercando di indicare cosa questo sta generando nell’evoluzione di Performando, effetti che approfondirò in alcuni post successivi con l’obiettivo di descrivere con maggior precisione quali siano le conseguenze operative di ciò che stiamo evidenziando.

L’interazione tra le persone ha vissuto vere e proprie montagne russe.

Distanziamento forzato, lavoro da casa, azzeramento delle riunioni e della formazione, eliminazione quasi totale degli incontri tra clienti e fornitori. Questa situazione ha creato una vera e propria crisi di astinenza da relazione, che è scoppiata in una ricerca del contatto interpersonale e in presenza non appena sono state rimossi i vincoli creati dalla distanza sociale forzata. Il Covid ha fatto toccare con mano cosa significa rimanere isolati e quanto importante possa essere il rapporto umano, da sempre uno degli argomenti promossi convintamente da Performando.
La necessità di lavorare da casa in seguito alle limitazioni agli spostamenti ha fatto comprendere come gli uffici potevano essere utilizzati meno e in modo diverso, grazie all’impiego del “lavoro agile”. E questo ha fornito lo spunto per pensare ad un cambio radicale della nostra sede e di come intendere il lavoro tra noi colleghi. E così a breve trasferiremo il nostro ufficio, che cambierà radicalmente luogo, struttura fisica e, soprattutto, modalità operativa.

L’impossibilità di effettuare la formazione in presenza ci ha spinto a pensare a soluzioni alternative. Ed è così che con i colleghi siamo stati in grado, in poco meno di quattro settimane, di realizzare più di 60 moduli formativi in modalità e-learning sincrona della durata di due ore ciascuno. Il progetto ha ripreso i contenuti già presenti nel progetto U- Train, una rete di contenuti formativi sulle competenze trasversali che sono stati adattati in un primo momento alla formazione a distanza e in un secondo momento, grazie ad una seconda profonda modifica, in una nuova serie di moduli asincroni completamente rinnovati, di durata compresa tra i dieci e i trenta minuti.

Il Covid ha dimostrato quanto sia rilevante avere una rete di relazioni affidabile sulle quali confidare. Nel pieno della pandemia abbiamo avuto la possibilità di comprendere che da soli si riesce a fare molto poco e che per riuscire a cavarsela servono solide e concrete relazioni non solo interpersonali, ma anche tra società. Ed è forse da queste considerazioni che, proprio nel periodo del Covid, Performando ha investito in importanti partnership con alcune realtà che permettono oggi alla nostra società di proporre una gamma di servizi con una qualità e un’ampiezza mai avute in precedenza, e che oggi si propone come uno stimolante scenario che ci proietta verso il futuro, con forti radici già nel presente. (People Labs, 24/Co, Self Coherence, HR Tools, Rivoluzione Umana)

Pur nella difficoltà di creare relazioni del periodo pandemico, Performando ha fatto crescere il suo staff con nuovi importanti inserimenti. Luca Xodo, Roberto Pietrobon, Nicola Furlanis, Matilde Di Lenna, Roberto Micciulla, Alberto Lucchini sono entrati nello staff di
Performando.

A questi si sono aggiunte le già consolidate relazioni con John Kirwan, Rossano Galtarossa, Giuliano Bergamaschi, Matteo
Rampin e Francesco Scimemi.

E questo ci fa dire che al rientro dalle vacanze ci sarà una nuova Performando.

Ma non una società 4.0, come accade di frequente negli ultimi tempi, ma una PFD 3.14!

Grandi dimissioni? Forse… Parliamone!

a cura di Mario Bassini

Ormai ne discutono tutti, definendole magari all’inglese come “Great Resignation” oBig Quit; si interrogano e ipotizzano risposte circa i motivi di un fenomeno che viene dai più definito per certi versi sorprendente e inatteso. La sensazione è che ci sia ancora molto da valutare nei prossimi mesi in relazione a nuove evidenze, necessarie a confermare, o smentire, le attuali tendenze. Che comunque già oggi sembrano suggerire, a nostro parere e almeno per quanto attiene all’Italia, un atteggiamento forse meno sensazionalista.

Un’onda che parte di là dell’oceano

Il termine “Great Resignation” risulta essere stato usato per la prima volta da Anthony Klotz, psicologo e professore di Management alla texana Mays Business School (A&M University, College Station). Sui mezzi di informazione americani si sono succeduti articoli che hanno proposto il fenomeno, dandone possibili spiegazioni e anche suggerimenti alle aziende per indurre i propri dipendenti a “non mollare”. Normale che ci si interroghi anche da noi sui possibili riverberi, andando a leggere i numeri delle statistiche ufficiali e i racconti, più o meno fantasiosi, delle persone.

Scrutando attentamente i diversi contributi che nelle ultime settimane si sono accavallati su siti e pubblicazioni nostrane, la tentazione è quella di leggere il fenomeno con meno enfasi e maggiore realismo pragmatico. Sicuramente questo farà perdere un po’ di quella “narrazione romanzesca” accattivante che normalmente accompagna tutte le più o meno vere grandi rivoluzioni, ma speriamo abbia il merito di provare a razionalizzare e capire dove sta andando il trend di un mercato del lavoro sempre più imprevedibile e discontinuo.

Contributi ed evidenze numeriche

Di inizio mese l’articolo apparso su Uffingtonpost, che sotto il titolo “Mi licenzio, basta compromessi”. E’ l’anno delle dimissioni” propone un’attenta lettura di numeri molto significativi. 

Numeri e contributi alla discussione si trovano anche in diversi approfondimenti apparsi su Lavoce.info, in particolare un’analisi elaborata da Francesco Armillei (Pre-Doctoral Research Assistant STICERD, London School of Economics). 

Sullo stesso sito, Nicolò Giangrande, economista e ricercatore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, evidenzia come “Dai dati delle comunicazioni obbligatorie emerge…un incremento delle dimissioni già nel periodo prepandemico, quello 2017/2019. Poi chiaramente si è verificato un crollo nel primo semestre del 2020.” 

Invitando a sua volta e non limitarsi a una lettura congiunturale, che propone un quadro distorto dal confronto tra due trimestri pandemici, andando piuttosto ad allargare lo sguardo confrontando il secondo trimestre 2021 con lo stesso periodo del 2019, prima della pandemia, che evidenzia un incremento molto più contenuto (il più sopra evidenziato +10%), in linea con quanto avveniva già prima.

Avvicinando il focus, nel tempo e nello spazio, scopriamo che il livello delle dimissioni è elevato anche nel terzo trimestre 2021. I dati disponibili per il Veneto fino al 30 settembre, registrano infatti la prosecuzione dell’incremento delle dimissioni anche nei mesi estivi.

Il Veneto, sempre attingendo ai dati riportati da Lavoce.info, rappresenta un caso di studio particolarmente interessante anche relativamente al parallelo incremento del tasso di ricollocazione.

Il recente incremento delle dimissioni si è quindi accompagnato a una parallela dinamica del tasso di ricollocazione, segnalando un’accresciuta mobilità dei lavoratori dipendenti. 

Possibili letture e interpretazioni

L’aumento delle dimissioni è dunque oggettivo, consistente, trasversale a settori e professioni, età e sesso, e non appare episodico. Caratterizza soprattutto le aree più dinamiche economicamente del Centro-Nord del paese. Può sicuramente essere letto come un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro

L’incremento delle dimissioni è solo marginalmente interpretabile come effetto del ritardo determinato dalla pausa pandemica (dimissioni che, in condizioni normali, sarebbero già avvenute). Può certamente nascondere – seppur in misura statisticamente molto modesta – licenziamenti ancora impediti dalle norme.

Si segnala poi la possibile diffusione di strategie di lavoratori che si ricollocano, data la congiuntura positiva, anche anticipando possibili licenziamenti futuri: è soprattutto un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro con conseguenti processi di selezione riferita a settori e professioni. 

Le peculiarità del mercato del lavoro italiano 

In generale, da un punto di vista sociale, ci sentiamo di escludere l’accostamento con il mercato del lavoro statunitense perché è completamente differente sotto il profilo culturale e valoriale.

Tra le motivazioni più significative, la necessità di avere maggiore flessibilità del luogo di lavoro e la voglia di avere un incarico più mirato e soddisfacente. Appare evidente che le privazioni del periodo pandemico e le regole riscritte, specie in tema di smartworking, abbiano in qualche modo spinto verso la scelta del cambiamento. 

L’aspetto economico non è l’unico fattore che porta a scegliere un lavoro, e forse non è più neanche il principale, si cerca la soddisfazione, il benessere personale. 

Lavorando da casa le persone hanno avuto più tempo per sè, hanno potuto in molti casi “alzare la testa” dopo anni condotti con l’unico driver della prestazione a ogni costo, non potendo disporre neanche del tempo necessario per fare la spesa, e hanno iniziato a vivere in modo più sano. E quando le organizzazioni hanno iniziato ad annullare tutto questo, richiedendo nuovamente la presenza costante in ufficio, c’è chi ha scoperto di non avere nessuna intenzione di tornare alla precedente “normalità”.

Poi ci sono i più giovani: millennials (26-41 anni) e generazione Z (under 25) pare siano particolarmente attratti dai principi della cosiddetta Yolo economy (“You-only-live-once” economy), di cui è sostenitore anche il rapper canadese Drake. Si vive una volta sola, non ha senso farlo male, legati a lavori insoddisfacenti che condizionano negativamente la propria esistenza, grazie anche a capi insopportabili. In Italia la questione riguarda soprattutto i bassi salari e una domanda di lavoro poco qualificata. Un giovane formato, con alti livelli di istruzione e poche prospettive professionali, può decidere di cercare altrove, se necessario anche di emigrare.

Se poi volessimo anche chiederci cosa i datori di lavoro dovrebbero offrire per coinvolgere i dipendenti e trattenerli all’interno delle organizzazioni, le ricerche più recenti hanno posto in evidenzia l’equilibrio tra vita professionale e vita privata (51%) e le opportunità di avanzamento di carriera (43%), al vertice delle liste di priorità. Da non sottovalutare il clima dell’organizzazione, dal management al rapporto con i colleghi.

Riassumendo e guardando avanti

Il fenomeno delle “Grandi dimissioni” si conferma a nostro avviso avere rilevanza perlomeno attenuata rispetto a quanto emerge da altri mondi molto diversi dai nostri, per cultura e impostazione. Certo testimonia una mobilità del lavoro che riflette un significativo cambiamento dei tempi e del modo di pensare e di muoversi degli “attori” che sono oggi sul palcoscenico di questo mondo, che evidenziano esigenze, bisogni, priorità anche molto diverse rispetto a quelle di chi lo ha calcato negli ultimi 30/35 anni e ancora lo frequenta assiduamente, dato l’innalzamento dell’età pensionabile.

Appare sempre più evidente la necessità di sapere interpretare queste diversità e dare risposte adeguate e anche molto flessibili, a seconda di quelle che sono le diverse platee compresenti nelle organizzazioni attuali e future: solo chi saprà corrispondere prontamente a questo bisogno riuscirà a essere attrattivo e questo rappresenterà un vero fattore distintivo e vincente, soprattutto nella capacità di attirare e trattenere talenti e potenziali, competenze e conoscenze, semplicemente vitali per la sopravvivenza delle organizzazioni. La sfida è al tempo stesso avvincente e impegnativa, solo chi saprà dotarsi adeguatamente può candidarsi a vincerla.

Grandi o meno che siano queste “dimissioni”, aprono a più o meno grandi opportunità solo per chi sarà veramente in grado di coglierle!

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Sostenibilità e qualità, della vita e della prestazione, in tempi di emergenza COVID-19: il fenomeno smartworking attraverso un’esperienza sul campo. Quali prospettive?

Il tema dello smartworking mai come in quest’ultimo anno è diventato centrale per chi si occupa di Persone all’interno delle Organizzazioni.

Per ogni convinto sostenitore di questa modalità lavorativa, c’è parallelamente qualcuno che aspetta con altrettanta determinazione il ritorno alle “origini” pre- pandemia. 

Convinti che non ci potrà mai essere una soluzione univoca per tutte le aziende e organizzazioni, perchè ogni contesto ha le sue caratteristiche e peculiarità, vi proponiamo l’articolo scritto da Mario Bassini, senior partner di Performando e Corporate HR Director di Askoll Holding Srl, tratto da “Personale e lavoro. Rivista di cultura delle Risorse Umane“. 

Nell’articolo verrà affrontato il tema attraverso l’esperienza sul campo di Askoll, che come tutte le aziende ha dovuto gestire questo fenomeno.

Dati interessanti da leggere e possibili prospettive da valutare. 

Sicuramente questa storia, come scrive il nostro collega, non finirà qui… 

Buona lettura!

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Diversity is not a crime

a cura di Francesco Apuzzo

Tra le varie moto che ho guidato c’è la Yamaha Diversion, parliamo degli anni ’90, una moto da strada con poca manutenzione e prestazioni da medio-lungo viaggio (due motorizzazioni, 600cc e 900cc), con la quale ho fatto il mio tragitto non-stop più lungo, di circa 1200 km, dall’Italia all’Olanda.

Ricordo i commenti relativi al nome, come ricordo la mia soddisfazione nel sapere che, in realtà, il significato era quello dello svago e della possibilità di poter deviare da un percorso all’altro, grazie alla sua flessibilità e adattabilità a diverse situazioni e terreni, pur non essendo una moto enduro stradale (ero andato anche nel Peloponneso, in Grecia, dove apparivano improvvisamente strade sterrate, come nella foto).

Quante volte dedichiamo il giusto tempo ad analizzare l’etimologia e il significato delle parole che utilizziamo, specialmente in ambito lavorativo?

Ad esempio, del termine Diversity, che va sempre più di moda, ne conosciamo la storia affascinante?

Innanzitutto, proviamo con la traduzione italiana: diversità. Il più delle volte, nell’immaginario collettivo, la diversità viene percepita come una condizione negativa, o quanto meno che richiederà maggiori sforzi per essere gestita, soprattutto se confrontata con parole tipo affinità, somiglianza, uguaglianza. In effetti è vero, ci vuole più tempo per gestire qualcosa di ignoto, rispetto al conosciuto, ma la realtà è che sempre di più le organizzazioni devono confrontarsi con l’ignoto, il cambiamento rapido, ben esplicitato dall’inglese unpredictable.

Non sono concetti nuovi, sia ben chiaro, se ne parla da decine di anni, ma mai come ora sono diventati impellenti e strategici per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Torniamo quindi all’etimologia della parola diverso, dal latino Diversus, che principalmente significa volto altrove, indicando anche l’allontanamento (essendo composto dal prefisso verbale dis e il verbo vertere -> volgere). I principali dizionari lo traducono con parole tipo: diverso, separato, lontano, distante, ostile, nemico, avversario, incerto e via dicendo.

È quindi chiaro che reinterpretarlo come termine portatore di qualità positive, richieda un grande sforzo culturale, prima ancora che etimologico.

In realtà, cercando tra le traduzioni in altre lingue, specialmente inglese e francese, si trovano interpretazioni più positive, ad esempio “la qualità di essere diverso” e “caratteristica unica” (che molto assomiglia, per rimanere in ambito aziendale, alle Unique Selling Propositions).

Naturalmente ci vorrebbe una ricerca etimologica approfondita, ma per il raggiungimento degli obiettivi aziendali si può partire da queste semplici considerazioni.

La diversità è un fatto, sia a livello macro culturale (italiani e pakistani, ad esempio) che micro culturale (ingegneri e umanisti), tutte persone che potrebbero trovarsi a lavorare assieme e per le quali è necessario attivare dei percorsi di acculturazione, che vanno oltre quelli dell’inclusione.

Lasciare al caso le relazioni interpersonali è un grosso rischio, dal momento che si possono velocemente creare i gruppi informali, i quali seguono prevalentemente le regole di somiglianza, ma che spesso non sono coerenti e allineati alle regole aziendali.

La diversità sta raggiungendo livelli di conoscenza e consapevolezza più ampi e trasparenti, come ad esempio quelli della comunità LGBTQ+, sempre più presente (nel senso di manifesta) nei luoghi di lavoro e importante dal punto di vista della gestione delle relazioni interpersonali, partendo ad esempio dalla necessità di gestire eventuali fenomeni discriminatori, non palesi, che possono minare la comunicazione e rallentare l’operatività.

Le nuove generazioni, inoltre, si stanno confrontando con la fluidità di genere e questo cambiamento necessita di accorgimenti nella comunicazione già a partire dalla formazione scolastica, e successivamente nel mondo aziendale (basti pensare all’opportunità di riuscire a comunicare in maniera adeguata la promozione di un prodotto o servizio, che soddisfi non solo più i termini “per lui e per lei”)

E’, per fortuna, evidente a tutti, almeno concettualmente, che la diversità sia funzionale alla sopravvivenza delle organizzazioni, in termini di strategia, di operatività e, fenomeno più recente spinto dalla pandemia, anche relativamente alla richiesta (non richiesta in realtà, ma accaduta) di essere diversi nel nostro modo di lavorare. Solo da opinioni diverse e variegate può nascere una nuova idea e il confronto continuo con punti di vista differenti è fondamentale per la gestione delle variabili, sempre maggiori e improvvise.

Quindi, ben venga la diversità, solo se in azienda sono presenti strategie e percorsi formativi e consulenziali, di lungo periodo, sui quali Performando lavora da molto tempo, volti alla sua valorizzazione e conseguente soddisfazione delle persone coinvolte direttamente, tra le quali ci potrebbe essere anche chi analizza gli indici di redditività, che sono parimenti importanti!

In caso di COACHING… un caso di Coaching: Performando per TECNOSTRUTTURE

a cura di Mario Bassini

IL SIGNIFICATO DI COACHING

Tra le diverse definizioni di coaching che è possibile trovare, particolarmente rilevante secondo noi è quella proposta da EPCA (European Professional Coaching Association), che definisce il Coaching come “una metodologia che caratterizza il rapporto di Partnership tra il Coach e il suo Cliente che si pone come obiettivo, più che insegnare qualcosa alle persone, aiutarle ad imparare e di far emergere appieno le loro potenzialità a vantaggio di una competenza da sviluppare o di un risultato da migliorare.

Partendo dal presupposto che ogni persona è sana e ha già in sé tutto ciò che le occorre per stare bene, il Coaching si differenzia da tutti gli altri interventi di psicoterapia e consulenza, poiché non è orientato alla cura di disturbi psicologici o di problemi specifici, bensì allo sviluppo dei talenti e delle potenzialità.

L’intervento di Coaching può esistere solo ed esclusivamente in relazione a specifici obiettivi formulati dal cliente con l’aiuto del coach e raggiungibili attraverso una metodologia pragmatica, rapida ed efficace.

IL CONTESTO

Tecnostrutture è un’azienda straordinaria e particolare, che opera con successo da oltre 35 anni nel settore delle costruzioni.

Franco Daniele, che di Tecnostrutture è il fondatore e titolare, la definisce “unazienda orientata al cambiamento”; per diventare lazienda leader del settore e vincere la concorrenza dei competitors non basta avere dipendenti individualmente efficaci e competenti nel progettare, realizzare e vendere un buon prodotto, ma questi devono soprattutto saper lavorare bene insieme. C’è bisogno di ascolto, di costruire una chimica allinterno del gruppo e di rispettare tutta una serie di dinamiche relazionali e comportamentali”.

La gestione delle risorse umane rappresenta quindi l’aspetto più delicato e critico per l’imprenditore.

Quella con Performando è stata, per Tecnostrutture, la prima esperienza di utilizzo della metodologia di Coaching. Tra gli obbiettivi concordati era particolarmente presente quello di sviluppare un aspetto di miglior copertura di ruolo, favorendo modalità di stile di leadership innovative in particolare per due figure aziendali. Era necessario un progetto di “ottimizzazione” che tenesse conto che le due figure evidenziate presentavano profili comportamentali, punti di forza e di debolezza, molto diversi l’una dall’altra.

A tal proposito, interessante riprendere un commento dell’imprenditore:

Ho scelto di avviare un percorso di coaching per la sua completezza: infatti va a lavorare sullo sviluppo di tutta la persona. Inoltre la peculiarità di un percorso di coaching è proprio la sua personalizzazione ed io avevo bisogno di una modalità che mi permettesse di trattare tematiche differenti a seconda dei fabbisogni evidenziati dai miei due collaboratori”.

LA STRUTTURA DEL PERCORSO

Prima dell’inizio del percorso di coaching individuale è stato fatto compilare ai due professionisti il test di autovalutazione D-I-S-C, utilissimo supporto sugli aspetti comportamentali della persona. I grafici risultanti vengono analizzati e commentati dal coach durante i colloqui individuali con ciascuno dei coachee.

Da quel momento è stato avviato il percorso di coaching individuale: uno ha toccato più gli aspetti relazionali quali la collaborazione, il lavoro di gruppo, la comunicazione, l’apertura e la gestione del conflitto; mentre il secondo si è focalizzato maggiormente sulla gestione dei collaboratori, la gestione dello stress, la delega, l’autorevolezza, lo sviluppo della leadership. Questi temi non sono stati trattati tutti con la stessa intensità, alcuni essendo più urgenti e corposi di altri hanno impegnato più di una sessione.

A seconda dell’obiettivo delle sessioni, il coach ha utilizzato differenti strumenti, quali le simulazioni e lo shadowing coaching, per dare maggiore concretezza all’argomento trattato (lo shadowing coaching si applica per osservare il coachee all’opera, ad esempio affiancandolo durante una riunione di lavoro o una visita allo stabilimento produttivo).

Un aspetto che ha suscitato grande interesse è stata l’assegnazione dei compiti per casa alla fine di ogni incontro, commentati e discussi nella sessione successiva e utilizzati come spunti per le nuove tappe di miglioramento. Talvolta le attività consistono anche in letture, visioni di video e/o film. In generale esse sono state giudicate da entrambi i protagonisti come fondamentali per potersi ‘allenare’ sui giusti atteggiamenti da tenere in ambito lavorativo.

DURATA DEL RAPPORTO DI COACHING

Il percorso di coaching descritto è iniziato a luglio 2019 ed è terminato a giugno 2020. Le due persone interessate non sono state “obbligate” a parteciparvi ma hanno deciso di loro volontà di accettare questa possibilità, offerta e consigliata dall’azienda. Entrambi hanno partecipato a 15 sessioni individuali con una cadenza bimensile per le prime cinque sessioni, passando poi ad un intervallo di tre settimane per le restanti. La loro durata circa 90 minuti.

METODOLOGIA APPLICATA

Nel caso dell’esperienza in Tecnostrutture, il modello prevalentemente seguito durante il percorso è stato il G.R.O.W. elaborato da John Whitmore.

Per tutta la durata del percorso l’efficacia viene costantemente monitorata dal coach attraverso l’uso di strumenti qualitativi e quantitativi, quali report e feedback.

L’uso di questi strumenti garantisce anche un continuo confronto tra coach e committente, confronto utile ad entrambe le parti per comprendere come procedono le cose, se si stanno producendo risultati concreti, se positivi o negativi e se permangono aree su cui ancora bisogna migliorare.

LA VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEL PERCORSO:

Nel riportare il loro vissuto, uno degli aspetti che entrambe le persone hanno riportato come determinante per lo sviluppo di un dialogo aperto e sincero tra coach e coachee, è stata l’esperienza del coach maturata in ambito aziendale e la sua anzianità.

Il coach trasuda esperienza, già al primo impatto l’ho visto subito come una figura che avrebbe potuto aiutarmi, qualcuno dal quale poter apprendere qualcosa, sentivo che il suo contributo poteva essermi d’aiuto.”

Durante le sessioni il coach porta soprattutto la sua esperienza e questa condivisione è stata molto apprezzata dai due coachee perché ha permesso loro di acquisire nuovi punti di vista e sviluppare una mentalità più aperta.

Perché il percorso abbia efficacia inoltre serve instaurare un vero rapporto di fiducia tra coach e coachee: “Non mi sono mai sentito giudicato dal coach, è una persona che ti invoglia a parlare, che ti mette a tuo agio e ti rasserena; senza dubbio credo che se lui fosse stato una persona più seria/rigida sarebbe stato più difficile per me parlarci tranquillamente.” 

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

Se questo racconto avrà suscitato in chi lo ha letto, grazie alla sua sana curiosità, interesse e motivazione, ci auguriamo che le nostre risposte, e proposte, su un tema ancora per certi versi troppo poco approfondito e praticato dalle organizzazioni del nostro “bel paese”, abbiano aperto le porte a prospettive di nuove, numerose esperienze concrete.

Augurando buon lavoro a tutti coloro i quali avranno voglia di cimentarsi in concreto, contribuendo attivamente alla diffusione di questo potentissimo strumento di ottimizzazione e crescita, per le persone e le organizzazioni!

Ringraziamo Tiziana Forlin giovane studentessa di Psicologia, per averci permesso di condividere diversi passaggi delle sua tesi, che racconta in maniera ancora più approfondita e analitica l’esperienza condotta a fianco di Tecnostrutture.

SMART DISC EXPERIENCE: IL PRIMO PASSO VERSO LA CERTIFICAZIONE INTERNAZIONALE DISC

Cosa è la SMART DISC EXPERIENCE?

La smart disc experience è un percorso formativo di 8 ore via web finalizzato alla conoscenza dei sistemi persolog® a base D-I-S-C e gli stili comportamentali.

Il percorso è ispirato alla prima giornata di Certificazione Internazionale, al termine della quale verrà rilasciata l’abilitazione all’utilizzo degli strumenti di self assessment a base D-I-S-C. per 4 mesi.

Quali sono i vantaggi del modello DISC?

Conoscenza rapida dei talenti che i propri collaboratori stanno mettono in campo, le loro motivazioni vincenti, le aree di attenzione per la loro gestione, il grado di flessibilità che sanno utilizzare, le posizioni in cui possono dare il meglio ed essere realizzati.

I sistemi basati sul modello DISC sono utilizzati in tutto il mondo in percorsi di selezione, assessment, sviluppo, formazione e processi organizzativi.

Cosa prevede La SMART DISC EXPERIENCE ?

E-LEARNING – Un percorso di videolezioni corredate dal manuale del partecipante ed esercitazioni

SELF ASSESSMENT PERSONALE – Un’ora di assessment personale sul tuo Personal Profile e il tuo Job Profile con un Master Trainer persolog®

PIATTAFORMA DIGITALE – Apertura della piattaforma per ordinare i test corredata di 50 crediti per 4 mesi di prova

LIBRO – Una copia del libro “ABC del Comportamento” che ti verrà inviato al termine del percorso.

La formazione teorica e gli esercizi sono online, ma al termine della parte formativa teorica è prevista una sessione one to one con un Master Trainer persolog® per chiarire domande, dubbi e approfondire i tuoi test.

Clicca qui per scaricare il programma di dettaglio

Cosa posso fare alla scadenza dei 4 mesi dall’apertura della piattaforma?

Al termine del periodo di quattro mesi di utilizzo della piattaforma eport, la Smart Disc Experience potrà essere convertita (a scelta) in:

certificazione full (dal cui investimento verranno stornati i 370 euro già versati)

sottoscrizione a 400 euro + iva di un canone annuale di utilizzo della piattaforma eport  –  comprensivo di ben 300 crediti – che permette di erogare per 12 mesi il questionario Personal Profile D-I-S-C  (versione base) ed il Job Profile, entrambi sperimentati nel corso

termine dell’esperienza

Qual è l’investimento del percorso?

L’investimento per il percorso on line è di soli € 370 + IVA

Come posso iscrivermi o avere ulteriori informazioni?

Contatta i master trainer D-I-S-C Andrea Petromilli e Sara Caroppo scrivendo a info@performando.it

Gestione delle crisi e contingenza COVID-19: spunti di riflessione per organizzazioni e persone

a cura di Mario Bassini

Premesso che tutti ne avremmo fatto volentieri a meno, dall’inizio di questo tormentato 2020 i nostri sistemi organizzativi stanno sperimentando in modo a dir poco altamente probante quanto fossero, o non fossero, attrezzati per la gestione di una condizione di crisi.

Situazioni così difficili come quelle che stiamo vivendo ormai da mesi, conducono verso il limite non solo le capacità dei sistemi, delle procedure, dei processi, ma testano in modo formidabile anche la resistenza, la resilienza e le competenze dei singoli, a tutti i livelli; nelle criticità emergono prepotentemente, in grande evidenza, le debolezze e le difficoltà delle persone ma anche, nella maggior parte dei casi, le straordinarie risorse che normalmente restano latenti, talvolta nemmeno si pensava di avere a disposizione. 

Ci sono risposte arrivate per decreto, quindi dall’esterno (e il fatto che in tante realtà solo grazie all’intervento governativo queste risposte abbiano trovato percorribilità già la dice lunga…), ma per avere a disposizione altri, indispensabili strumenti, sarebbe probabilmente servito qualcosa di diverso: il solo Smart Working non basta, servono volonterosi e convinti Smart Worker e, prima ancora, Smart Organization, Smart Manager, e tanto altro a supporto.

Come stiamo da questo punto di vista? Essendo frequentatori “di lungo corso” delle organizzazioni aziendali, siamo propensi a pensare che qualche “turbolenza” si sia fatta sentire e svariante carenze siano state impietosamente messe a nudo. Si vedono però anche possibili opzioni di miglioramento.

Una recente indagine pubblicata sulla rivista Persone & Conoscenze, ha messo in risalto alcuni aspetti che meritano un approfondimento e forniscono più d’uno spunto.

L’inchiesta ha coinvolto oltre 200 aziende, attive prevalentemente nei settori Servizi e Manufacturing, sparse tra nord-ovest (50,7%), nord-est (19,9 %), centro (22,6 %), sud e isole (6,8 %).

Ebbene, le realtà intervistate hanno a larga maggioranza dichiarato di essersi trovate impreparate alle incertezze, prive di piani finalizzati al riguardo e con il solo SW come possibile risposta: oggettivamente, un po’ pochino.

Il 68% delle aziende coinvolte ha affermato che non aveva a disposizione un piano di gestione della crisi; ciò nonostante, il riadattamento è stato veloce, dato che il 90% delle realtà ha comunque continuato a lavorare. La dimostrazione che nel bel paese sicuramente non saremo campioni di organizzazione, prevenzione e programmazione, ma quanto a capacità di adattamento siamo autentici best performer, soprattutto quando arriva il momento nel quale è necessario ricorrere alla nostra forza principale, quella…della disperazione!

A confermarlo il fatto che in molti casi la produttività è perfino aumentata, le aziende stanno recuperando i valori pre lockdown primaverile, c’è persino chi raggiungerà e supererà il budget 2020 nonostante un più o meno consistente stop tra marzo e aprile.

Tra i dati evidenti vi è che la maggior parte, se non la totalità, dei processi dovrà rinnovarsi anche nel medio-lungo termine e che mai come in questi mesi, si è così tanto lavorato da remoto: il 99,5 % dei contesti ha adottato soluzioni di lavoro a distanza, anche se emerge chiaramente che in oltre un caso su due si è trattato di una soluzione nuova, mai veramente testata prima.

Se poco attrezzati ci si è fatti trovare in questa circostanza, la speranza potrebbe essere quella di trarne insegnamento per attivare azioni finalizzate a gestire meglio la prossima sfida, perché appare evidente che la stragrande maggioranza delle organizzazioni ha da implementare un modello nuovo, sia sul lato delle persone che della organizzazione.

Altrettanto intenso e profondo il lavoro da svolgere sul lato della cultura aziendale, che deve evolvere da una modalità prevalentemente impostata sul controllo a una imperniata sulla fiducia.

Servono poi nuovi sistemi e modalità di comunicazione, che portino alla revisione dei protocolli esistenti, assieme all’implementazione di nuove piattaforme. Obiettivo principale tenere collegate le persone, tanto quelle che lavorano prevalentemente da casa, quanto far sentire la vicinanza ai colleghi rimasti in azienda. Ritrovarsi attorno a un insieme di valori identificati e dichiarati, coerentemente agiti nella quotidianità.

Sarebbe errore gravissimo abbandonare la formazione, casomai lo sforzo deve essere maggiore e più intenso, anche per conoscere nuovi strumenti e sfruttarne le potenzialità, per non abbandonare i programmi e anzi completarli, meglio ancora implementarli e arricchirli con nuovi contenuti.

Vincente risulterà stare vicino ai collaboratori tenendoli coinvolti e ingaggiati: per far questo saranno necessari nuovi modi di valutare, anche perché gli obiettivi e i loro cruscotti cambiano, ma bisogna garantire la continuità di questi processi limitandosi a rimodularli, segnalando eventuali problematiche di performance o di natura tecnica. La funzione di bussola di questi sistemi, ove esistenti, è ancor più importante quando si è in momenti di disorientamento e di incertezza.

Un’interessante scoperta viene segnalata sul lato delle modalità di conduzione di alcune attività, per le quali la modalità in presenza era considerata non sostituibile fino a qualche mese fa: oggi in molti ammettono che assessment di selezione remotizzati, se condotti adeguatamente, possono rappresentare uno strumento utile e non meno efficace rispetto alle modalità “tradizionali”.

Cultura e leadership aziendale saranno lo snodo essenziale di questa fase di cambiamento e di ricerca di un nuovo equilibrio.

In Personale e Lavoro”, rivista di cultura delle risorse umane curata da ISPER, abbiamo trovato interessantissimi spunti a proposito di leadership ai tempi dello smartworking, dove la centralità viene individuata nella necessità di favorire l’identificazione di:

  • una nuova cultura aziendale, facile a dirsi molto meno a farsi
  • nuove tecnologie e spazi fisici, come elementi hard
  • nuovi comportamenti, imperniati su delega e fiducia

il tutto veicolato attraverso una leadership agile e orizzontale, grazie a capi coach che sappiano essere flessibili, partecipativi, visionari, in grado di seguire le trasformazioni delle persone e del contesto, facilitando i processi.

Ruolo fondamentale continuerà quindi a essere quello delle persone, in particolare per chi ha mansioni “di comando”, cioè di guida, coordinamento e ispirazione.

Un po’ di tempo è passato da quando Sir Ernest Shackleton pubblicava il suo annuncio “Cercasi uomini per viaggio rischioso. Paga bassa, freddo glaciale, lunghe ore di completa oscurità. Incolumità e ritorno incerti”. Apparso sul Times nel 1914, era volto alla ricerca dell’equipaggio necessario per la spedizione antartica Endurance; risposero in migliaia. La spedizione incappò quasi subito in un problema insormontabile che la bloccò ma grazie a una delle più straordinarie azioni di salvataggio, Shackleton riportò a casa, sani e salvi, tutti i membri della spedizione: certo, magari i nostri sofisticati sistemi di MBO potrebbero parlare di “mancato raggiungimento del risultato”…sorvoliamo.

Erano altri tempi. Più vicino ai giorni nostri, nel gennaio del 2009, il comandante Chesley Sullenberger (‘Sully’) effettuò un ammaraggio nel fiume Hudson, pochissimi minuti dopo il decollo, a causa di un impatto con volatili che danneggiò irreparabilmente entrambi i motori del suo volo. L’incidente non provocò una sola vittima, ma Sully andò a processo per aver violato le regole di sicurezza della navigazione area, fu licenziato e rischiò la galera (da segnalare il film sulla vicenda con Tom Hancks protagonista), salvo essere poi riabilitato.

Nel 2020, le recenti vicende in tema COVID ci offrono l’esempio del comandante Gennaro Arma della nave da crociera Diamond Princess, bloccata in Giappone per settimane dopo la scoperta di casi di Coronavirus tra le persone a bordo: 3700 passeggeri e 705 casi. E’ stato l’ultimo a lasciare la nave, commentando così quando accaduto: “Non mi sento un eroe. Sono una persona normale che ha fatto il suo dovere!” E a nessuno sarà sfuggito il confronto con il comportamento opposto del collega, lui pure italiano, Francesco Schettino: passato tristemente alla storia della navigazione per ben altri motivi.
Due crisi, due approcci radicalmente diversi, il meglio e il peggio nell’espressione della leadership in situazione di emergenza.

Come detto i tempi e le circostanze sono cambiate e differenti ma, in definitiva, a chi svolge attività di governo efficace di persone e organizzazioni, si continua a chiedere

  • valutazione attenta e realistica della situazione (con sempre meno tempo a disposizione)
  • gestione della comunicazione (in contesti spesso molto articolati, ampi e complessi)
  • capacità di coordinamento (con modalità differenti)
  • operatività spinta e presa di decisioni tempestiva
  • massimo utilizzo delle risorse (che sempre più spesso sono scarse)
  • comprensione delle preoccupazioni, delle ansie e delle paure delle persone (disorientate e smarrite)
  • capacità di infondere sicurezza (quando regna l’incertezza)

Per rispondere al meglio, dovrà poter disporre di un ambiente organizzativo e gestionale ottimamente e preventivamente progettato, che sia robusto, efficiente ed efficace.

Fondamentale che sia coerente nei comportamenti, che dovranno essere in linea con le parole. Perché la guida si esprimerà sempre di più con l’esempio. Un valido comandante ne è perfettamente consapevole e, sebbene sia esposto ad esse come qualunque altro essere umano, non ne è vittima e non permette che la sua capacità di reazione ne sia impedita, limitata o peggio ancora paralizzata. Avrà saputo costruire una squadra che lo aiuti e lo supporti, creando un rapporto di fiducia intenso e profondo con le sue persone, che agevolino e ne facilitino il difficilissimo compito.

In definitiva, qualunque sia il modello ispiratore delle nostre organizzazioni, la principale evidenza è che c’è molto lavoro da fare. Bisogna impedire che si avveri una poco entusiasmante e largamente diffusa previsione secondo la quale c’è il rischio che il tessuto della cultura organizzativa italiana, basato essenzialmente su un modello imprenditoriale caratterizzato da PMI che fanno dell’accentramento della proprietà il loro principale cardine, faccia da freno al consolidamento e allo sviluppo di tutto quanto è connotato e veicolato da un approccio SMART, riportandoci a prima della crisi; sarebbe un errore imperdonabile, una formidabile occasione persa, non capitalizzare questa fase convulsa per uscirne con nuovi modelli più agili e predittivi, più forti perché flessibili, basati sulla fiducia, sulla delega, sulla collaborazione e sulla valorizzazione.

Lo smartworking come motore di cambiamento e miglioramento

a cura di Mario Bassini

Con il passare del tempo, quella che era nata come risposta temporanea a una situazione di emergenza (ne avevamo parlato nelle settimane di maggior criticità della pandemia), sta diventando una formidabile opportunità di cambiamento grazie, soprattutto, alla sua diffusione e al protrarsi nell’applicazione. Se in primavera “concedersi” lo smartworking significava reggere l’impatto del momento, ora possiamo vederlo anche come elemento organizzativo e gestionale strutturale e duraturo.

E’ questo probabilmente uno dei pochissimi aspetti positivi del protrarsi di una criticità generale di cui avremmo sicuramente fatto volentieri a meno: vale la pena darsi da fare per riuscire a stabilizzare questi elementi, consolidando la fase di cambiamento (forzato) in miglioramento (acquisito).

Alzi la mano chi non si è trovato, diciamo più o meno tra maggio e giugno, alle prese con qualche importante portatore di interesse, normalmente posizionato ai piani più alti delle chart organizzative, che, quasi tirando un sospiro di sollievo, non si sia espresso con frasi del tipo “bene, festa finita: questa vacanza dello smartworking può dirsi conclusa e si può tornare a lavorare; era ora!”

Persino eminenti personaggi con importanti incarichi di amministrazione pubblica e/o di governo, di varia natura, ha espresso concetti analoghi, salvo poi avventurarsi in sessioni di alpinismo da vetro sostenendo di esser stato frainteso nel suo pensare “all’effetto grotta che rischiava di affliggere nel tempo intere falangi di lodevoli dipendenti comunali, costretti all’isolamento lavorativo da mesi”.

Il cambiamento culturale delle organizzazioni è lento e difficile, soprattutto per quei contesti dove, giusto per fare un esempio di facile comprensione, si centra la valutazione di performance dei collaboratori sulla base della presenza fisica in ufficio, perché si è ancora abituati a dover percepire una sorta di “senso di possesso”, che non trova corrispondenza nell’eterea, impalpabile dimensione delle call Skype, Zoom o Teams.

Eppure le organizzazioni hanno in moltissimi casi retto benissimo, hanno saputo reagire, sono andate immediatamente a caccia di opportunità, cogliendole, laddove si presentavano, senza tentennamenti o rallentamenti, dimostrando in modo tangibile che anche gli smartworker hanno saputo lavorare bene, con efficacia ed efficienza, nonostante la situazione.

Certo forse però è mancata una componente essenziale: c’è bisogno di un po’ più di tempo, e di lavoro, per veder emergere una nuova generazione di smart manager, soprattutto perché c’è da convertire e resettare una folta schiera di capi che con queste nuove leve gestionali non aveva mai avuto a che fare in precedenza.

Sullo smart manager (degni di nota interessanti approfondimenti in proposito sulla rivista periodica ISPER di settembre, contenuti in una tesi di laurea discussa in uno di quei luoghi dove il tema è studiato da tempi non sospetti, ovvero il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli studi di Milano), avremo modo di tornare, perché merita un approfondimento.

Soffermiamoci invece sullo smartworker e sul suo momento di transizione che, come detto più sopra, può trovare giovamento dal fatto che questa situazione si sta prolungando nel tempo: per un verso il popolo dei detrattori ha a disposizione nuovi e/o rinvigoriti argomenti – l’orario di lavoro è diventato liquido, ho perso la dimensione sociale, mi hanno tolto il buono pasto, devo usare la mia wifi, la mia stampante, il mio impianto di condizionamento/riscaldamento, la mia macchinetta del caffè, la mia corrente elettrica,…), per un altro gli entusiasti comprendono e apprezzano la riduzione di molti dei costi di natura psico-fisiologica e logistica della prestazione lavorativa, il vantaggio di una spazio-temporalità più libera (anche se in modo talvolta differente a seconda dei ruoli), la crescita della responsabilizzazione individuale (se percepita come opportunità).

Teniamo conto poi del diverso ageing della popolazione aziendale: i più giovani sono sicuramente quelli che maggiormente richiedono, fin dalle fasi di selezione, se il contesto prevede o meno modalità di lavoro agile ma poi magari ne lamentano il derivante rischio di esclusione, o solo parziale inclusione, nella dimensione sociale e di scambio/trasferimento di competenze, che lo stesso comporta.

Sicuramente da presidiare attentamente il tema, evitando il rischio di un eccessivo “scollamento” tra giovani e veterani. Di contro i colleghi dotati di maggiore anzianità aziendale avranno magari ragionato ironicamente “mi sono mancati i colleghi, il mio capo, l’ufficio…poi però, una volta ritrovati, questo senso di nostalgia si è subito sopito!”

Ma, detto che molti di questi aspetti non possono certo essere definiti sorprendenti, la sintesi del tragitto fatto fino a qui dice che chiunque di noi si trovi a lavorare a vario titolo al servizio delle persone e delle organizzazioni, ha una grande occasione e un’altrettanto grande opportunità: smart working sì ma ben posizionato e gestito, a livello qualitativo e, laddove possibile, quantitativo.

Ai professionisti dell’HR spetta il compito di lavorare per trovare un equilibrio e una linea cui tendere nel lungo periodo, quando l’emergenza sarà definitivamente risolta.

Serve governare il fenomeno con intelligenza e lungimiranza, perché non prevalga l’approccio emergenziale, come in parte è stato finora.

Il vantaggio del prolungamento di questa esperienza “spintanea” sta nel fatto di avere più tempo a disposizione per convincere anche i più resistenti a comprendere, su basi concrete, che in realtà si tratta di una formidabile opportunità e di una potente risorsa che non solo ha costi tutto sommato risibili ma, anzi, in molti casi può rappresentare una fonte di risparmio sui costi aziendali: ci sono organizzazioni che questi conti li hanno già fatti e stanno ripensando agli uffici, al parco auto, ai costi per trasferte, mense aziendali, e tanto altro.

I professionisti dell’HR devono saper contribuire a cogliere, evidenziare e misurare questi aspetti, oltre che gestire accordi e policy strutturate e coerenti, con le quali definire le cornici e le reciproche opportunità.

Celebriamo gli apprendimenti

a cura di Andrea Petromilli

Tra i valori di Performando c’è quello della “condivisione” inteso come desiderio di trasmettere con entusiasmo e passione le nostre conoscenze, capacità e scoperte, e contribuire a “generare valore” per i nostri Clienti.

In questo articolo vogliamo condividere uno strumento che facilita persone e organizzazioni a focalizzare e celebrare i propri apprendimenti, partendo dall’analisi delle proprie esperienze.

E’ noto e risaputo che si apprende dagli errori, soprattutto perché ti “costringono” a cambiare prassi, comportamenti ed abitudini che magari, fino a poco tempo prima, si erano rilevati vincenti. 

Non è così scontato invece apprendere dai “successi”, perché il risultato positivo delle nostre azioni, nella maggior parte dei casi, non viene analizzato adeguatamente, a volte addirittura rischia di essere dato per “scontato”.

Partendo da queste premesse ci piace condividere lo strumento elaborato da “Management 3.0” e denominato “Celebration Grid”.

Tale tool nasce all’interno del contesto “agile” e viene utilizzato nelle “retrospettive” (riunioni di feedback per valutare lo stato di avanzamento di un progetto) per aiutare i team a valutare l’efficacia del lavoro svolto ed indirizzarli nell’elaborazione di modalità utili per intraprendere al meglio gli step successivi del progetto in cui sono coinvolti.

La cerebration grid si compone di 3 step, graficamente rappresentati da 3 colonne da compilare, che ci guidano nell’analizzare l’esperienza oggetto di studio da 3 punti di vista:

Gli errori

Le sperimentazioni

Le buone prassi

Per utilizzare la “griglia” della cerebration grid (scaricabile gratuitamente cliccando qui ) è importante, prima di tutto, focalizzare un progetto (personale e/o organizzativo) di cui si vogliono analizzare gli apprendimenti emersi.

Gli errori vengono elencati/scritti nella prima colonna del modello e rappresentano tutti quei comportamenti che sappiamo essere sbagliati, ma che ci siamo ostinati a perpetuare. Magari alcuni errori si sono rilevati “vincenti” ma solo per una questione di fortuna e la buona sorte, come siamo soliti dire nei nostri percorsi, non è allenabile!

E’ molto più probabile che la maggior parte dei comportamenti caratterizzanti questa prima fase del modello non abbiano contribuito a far avanzare il progetto oggetto di analisi. E’ noto, ad esempio, che fumare fa male alla salute, ma questo non basta per farci smettere di fumare. Ci rendiamo conto che le riunioni del nostro team non sono efficienti ma continuiamo a farle nello stesso modo.

“Pazzia è continuare a fare le stesse cose, aspettandosi risultati differenti” diceva Einstein.

Le sperimentazioni (la seconda colonna del modello) rappresentano tutti i tentativi e i comportamenti sperimentati per trovare soluzioni alternative rispetto a quelle impiegate in precedenza, che spesso abbiamo evidenziato e raccolto nella colonna “errori”.

L’analisi di queste azioni aiuta a far emergere tutte le esperienze nuove che abbiamo attuato, suddivisibili in due categorie: quelle che hanno raggiunto i risultati sperati e quelle che si sono rivelate poco o per nulla efficaci.

Le buone prassi, ultima colonna del modello, aiutano infine a ricapitolare i comportamenti utilizzati derivanti dall’esperienza, dimostratisi utili per risolvere problemi analoghi.

In questa colonna vengono anche raccolte quelle buone prassi non più adeguate, perché magari lo scenario è cambiato radicalmente, in maniera inaspettata.

Le novità imposte dall’attuale pandemia in corso ci stanno costringendo, ad esempio, a rivedere alcuni approcci maturati nel tempo “pre-covid” in termini di attività formative in presenza e/o esperienziale, che prevedevamo una distanza sociale inferiore ad un metro.

Una volta compilata la “griglia”, emerge chiaramente come la colonna centrale sia densa di apprendimenti e potenziali soluzioni, accessibili tanto alla persone quanto all’organizzazione.

Sono proprio i “tentativi” e le “sperimentazioni” (al di là del loro esito) che incrementano l’apprendimento; ed è proprio in virtù di ciò che i nostri percorsi formativi e consulenziali si caratterizzano sempre da un elevato grado di esperienzialità e sperimentazione dei concetti oggetto dei nostri interventi.

Per valutare come utilizzare la Cerebration Grid nel proprio contesto di sviluppo organizzativo e o personale ti invitiamo a scriverci una mail al nostro indirizzo info@performando.it.

Sarà un piacere condividere la nostre esperienze e celebrare insieme gli apprendimenti che emergeranno.

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