Autore archivio: Sara Caroppo

Grandi dimissioni? Forse… Parliamone!

a cura di Mario Bassini

Ormai ne discutono tutti, definendole magari all’inglese come “Great Resignation” oBig Quit; si interrogano e ipotizzano risposte circa i motivi di un fenomeno che viene dai più definito per certi versi sorprendente e inatteso. La sensazione è che ci sia ancora molto da valutare nei prossimi mesi in relazione a nuove evidenze, necessarie a confermare, o smentire, le attuali tendenze. Che comunque già oggi sembrano suggerire, a nostro parere e almeno per quanto attiene all’Italia, un atteggiamento forse meno sensazionalista.

Un’onda che parte di là dell’oceano

Il termine “Great Resignation” risulta essere stato usato per la prima volta da Anthony Klotz, psicologo e professore di Management alla texana Mays Business School (A&M University, College Station). Sui mezzi di informazione americani si sono succeduti articoli che hanno proposto il fenomeno, dandone possibili spiegazioni e anche suggerimenti alle aziende per indurre i propri dipendenti a “non mollare”. Normale che ci si interroghi anche da noi sui possibili riverberi, andando a leggere i numeri delle statistiche ufficiali e i racconti, più o meno fantasiosi, delle persone.

Scrutando attentamente i diversi contributi che nelle ultime settimane si sono accavallati su siti e pubblicazioni nostrane, la tentazione è quella di leggere il fenomeno con meno enfasi e maggiore realismo pragmatico. Sicuramente questo farà perdere un po’ di quella “narrazione romanzesca” accattivante che normalmente accompagna tutte le più o meno vere grandi rivoluzioni, ma speriamo abbia il merito di provare a razionalizzare e capire dove sta andando il trend di un mercato del lavoro sempre più imprevedibile e discontinuo.

Contributi ed evidenze numeriche

Di inizio mese l’articolo apparso su Uffingtonpost, che sotto il titolo “Mi licenzio, basta compromessi”. E’ l’anno delle dimissioni” propone un’attenta lettura di numeri molto significativi. 

Numeri e contributi alla discussione si trovano anche in diversi approfondimenti apparsi su Lavoce.info, in particolare un’analisi elaborata da Francesco Armillei (Pre-Doctoral Research Assistant STICERD, London School of Economics). 

Sullo stesso sito, Nicolò Giangrande, economista e ricercatore della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, evidenzia come “Dai dati delle comunicazioni obbligatorie emerge…un incremento delle dimissioni già nel periodo prepandemico, quello 2017/2019. Poi chiaramente si è verificato un crollo nel primo semestre del 2020.” 

Invitando a sua volta e non limitarsi a una lettura congiunturale, che propone un quadro distorto dal confronto tra due trimestri pandemici, andando piuttosto ad allargare lo sguardo confrontando il secondo trimestre 2021 con lo stesso periodo del 2019, prima della pandemia, che evidenzia un incremento molto più contenuto (il più sopra evidenziato +10%), in linea con quanto avveniva già prima.

Avvicinando il focus, nel tempo e nello spazio, scopriamo che il livello delle dimissioni è elevato anche nel terzo trimestre 2021. I dati disponibili per il Veneto fino al 30 settembre, registrano infatti la prosecuzione dell’incremento delle dimissioni anche nei mesi estivi.

Il Veneto, sempre attingendo ai dati riportati da Lavoce.info, rappresenta un caso di studio particolarmente interessante anche relativamente al parallelo incremento del tasso di ricollocazione.

Il recente incremento delle dimissioni si è quindi accompagnato a una parallela dinamica del tasso di ricollocazione, segnalando un’accresciuta mobilità dei lavoratori dipendenti. 

Possibili letture e interpretazioni

L’aumento delle dimissioni è dunque oggettivo, consistente, trasversale a settori e professioni, età e sesso, e non appare episodico. Caratterizza soprattutto le aree più dinamiche economicamente del Centro-Nord del paese. Può sicuramente essere letto come un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro

L’incremento delle dimissioni è solo marginalmente interpretabile come effetto del ritardo determinato dalla pausa pandemica (dimissioni che, in condizioni normali, sarebbero già avvenute). Può certamente nascondere – seppur in misura statisticamente molto modesta – licenziamenti ancora impediti dalle norme.

Si segnala poi la possibile diffusione di strategie di lavoratori che si ricollocano, data la congiuntura positiva, anche anticipando possibili licenziamenti futuri: è soprattutto un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro con conseguenti processi di selezione riferita a settori e professioni. 

Le peculiarità del mercato del lavoro italiano 

In generale, da un punto di vista sociale, ci sentiamo di escludere l’accostamento con il mercato del lavoro statunitense perché è completamente differente sotto il profilo culturale e valoriale.

Tra le motivazioni più significative, la necessità di avere maggiore flessibilità del luogo di lavoro e la voglia di avere un incarico più mirato e soddisfacente. Appare evidente che le privazioni del periodo pandemico e le regole riscritte, specie in tema di smartworking, abbiano in qualche modo spinto verso la scelta del cambiamento. 

L’aspetto economico non è l’unico fattore che porta a scegliere un lavoro, e forse non è più neanche il principale, si cerca la soddisfazione, il benessere personale. 

Lavorando da casa le persone hanno avuto più tempo per sè, hanno potuto in molti casi “alzare la testa” dopo anni condotti con l’unico driver della prestazione a ogni costo, non potendo disporre neanche del tempo necessario per fare la spesa, e hanno iniziato a vivere in modo più sano. E quando le organizzazioni hanno iniziato ad annullare tutto questo, richiedendo nuovamente la presenza costante in ufficio, c’è chi ha scoperto di non avere nessuna intenzione di tornare alla precedente “normalità”.

Poi ci sono i più giovani: millennials (26-41 anni) e generazione Z (under 25) pare siano particolarmente attratti dai principi della cosiddetta Yolo economy (“You-only-live-once” economy), di cui è sostenitore anche il rapper canadese Drake. Si vive una volta sola, non ha senso farlo male, legati a lavori insoddisfacenti che condizionano negativamente la propria esistenza, grazie anche a capi insopportabili. In Italia la questione riguarda soprattutto i bassi salari e una domanda di lavoro poco qualificata. Un giovane formato, con alti livelli di istruzione e poche prospettive professionali, può decidere di cercare altrove, se necessario anche di emigrare.

Se poi volessimo anche chiederci cosa i datori di lavoro dovrebbero offrire per coinvolgere i dipendenti e trattenerli all’interno delle organizzazioni, le ricerche più recenti hanno posto in evidenzia l’equilibrio tra vita professionale e vita privata (51%) e le opportunità di avanzamento di carriera (43%), al vertice delle liste di priorità. Da non sottovalutare il clima dell’organizzazione, dal management al rapporto con i colleghi.

Riassumendo e guardando avanti

Il fenomeno delle “Grandi dimissioni” si conferma a nostro avviso avere rilevanza perlomeno attenuata rispetto a quanto emerge da altri mondi molto diversi dai nostri, per cultura e impostazione. Certo testimonia una mobilità del lavoro che riflette un significativo cambiamento dei tempi e del modo di pensare e di muoversi degli “attori” che sono oggi sul palcoscenico di questo mondo, che evidenziano esigenze, bisogni, priorità anche molto diverse rispetto a quelle di chi lo ha calcato negli ultimi 30/35 anni e ancora lo frequenta assiduamente, dato l’innalzamento dell’età pensionabile.

Appare sempre più evidente la necessità di sapere interpretare queste diversità e dare risposte adeguate e anche molto flessibili, a seconda di quelle che sono le diverse platee compresenti nelle organizzazioni attuali e future: solo chi saprà corrispondere prontamente a questo bisogno riuscirà a essere attrattivo e questo rappresenterà un vero fattore distintivo e vincente, soprattutto nella capacità di attirare e trattenere talenti e potenziali, competenze e conoscenze, semplicemente vitali per la sopravvivenza delle organizzazioni. La sfida è al tempo stesso avvincente e impegnativa, solo chi saprà dotarsi adeguatamente può candidarsi a vincerla.

Grandi o meno che siano queste “dimissioni”, aprono a più o meno grandi opportunità solo per chi sarà veramente in grado di coglierle!

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Sostenibilità e qualità, della vita e della prestazione, in tempi di emergenza COVID-19: il fenomeno smartworking attraverso un’esperienza sul campo. Quali prospettive?

Il tema dello smartworking mai come in quest’ultimo anno è diventato centrale per chi si occupa di Persone all’interno delle Organizzazioni.

Per ogni convinto sostenitore di questa modalità lavorativa, c’è parallelamente qualcuno che aspetta con altrettanta determinazione il ritorno alle “origini” pre- pandemia. 

Convinti che non ci potrà mai essere una soluzione univoca per tutte le aziende e organizzazioni, perchè ogni contesto ha le sue caratteristiche e peculiarità, vi proponiamo l’articolo scritto da Mario Bassini, senior partner di Performando e Corporate HR Director di Askoll Holding Srl, tratto da “Personale e lavoro. Rivista di cultura delle Risorse Umane“. 

Nell’articolo verrà affrontato il tema attraverso l’esperienza sul campo di Askoll, che come tutte le aziende ha dovuto gestire questo fenomeno.

Dati interessanti da leggere e possibili prospettive da valutare. 

Sicuramente questa storia, come scrive il nostro collega, non finirà qui… 

Buona lettura!

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Diversity is not a crime

a cura di Francesco Apuzzo

Tra le varie moto che ho guidato c’è la Yamaha Diversion, parliamo degli anni ’90, una moto da strada con poca manutenzione e prestazioni da medio-lungo viaggio (due motorizzazioni, 600cc e 900cc), con la quale ho fatto il mio tragitto non-stop più lungo, di circa 1200 km, dall’Italia all’Olanda.

Ricordo i commenti relativi al nome, come ricordo la mia soddisfazione nel sapere che, in realtà, il significato era quello dello svago e della possibilità di poter deviare da un percorso all’altro, grazie alla sua flessibilità e adattabilità a diverse situazioni e terreni, pur non essendo una moto enduro stradale (ero andato anche nel Peloponneso, in Grecia, dove apparivano improvvisamente strade sterrate, come nella foto).

Quante volte dedichiamo il giusto tempo ad analizzare l’etimologia e il significato delle parole che utilizziamo, specialmente in ambito lavorativo?

Ad esempio, del termine Diversity, che va sempre più di moda, ne conosciamo la storia affascinante?

Innanzitutto, proviamo con la traduzione italiana: diversità. Il più delle volte, nell’immaginario collettivo, la diversità viene percepita come una condizione negativa, o quanto meno che richiederà maggiori sforzi per essere gestita, soprattutto se confrontata con parole tipo affinità, somiglianza, uguaglianza. In effetti è vero, ci vuole più tempo per gestire qualcosa di ignoto, rispetto al conosciuto, ma la realtà è che sempre di più le organizzazioni devono confrontarsi con l’ignoto, il cambiamento rapido, ben esplicitato dall’inglese unpredictable.

Non sono concetti nuovi, sia ben chiaro, se ne parla da decine di anni, ma mai come ora sono diventati impellenti e strategici per il raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Torniamo quindi all’etimologia della parola diverso, dal latino Diversus, che principalmente significa volto altrove, indicando anche l’allontanamento (essendo composto dal prefisso verbale dis e il verbo vertere -> volgere). I principali dizionari lo traducono con parole tipo: diverso, separato, lontano, distante, ostile, nemico, avversario, incerto e via dicendo.

È quindi chiaro che reinterpretarlo come termine portatore di qualità positive, richieda un grande sforzo culturale, prima ancora che etimologico.

In realtà, cercando tra le traduzioni in altre lingue, specialmente inglese e francese, si trovano interpretazioni più positive, ad esempio “la qualità di essere diverso” e “caratteristica unica” (che molto assomiglia, per rimanere in ambito aziendale, alle Unique Selling Propositions).

Naturalmente ci vorrebbe una ricerca etimologica approfondita, ma per il raggiungimento degli obiettivi aziendali si può partire da queste semplici considerazioni.

La diversità è un fatto, sia a livello macro culturale (italiani e pakistani, ad esempio) che micro culturale (ingegneri e umanisti), tutte persone che potrebbero trovarsi a lavorare assieme e per le quali è necessario attivare dei percorsi di acculturazione, che vanno oltre quelli dell’inclusione.

Lasciare al caso le relazioni interpersonali è un grosso rischio, dal momento che si possono velocemente creare i gruppi informali, i quali seguono prevalentemente le regole di somiglianza, ma che spesso non sono coerenti e allineati alle regole aziendali.

La diversità sta raggiungendo livelli di conoscenza e consapevolezza più ampi e trasparenti, come ad esempio quelli della comunità LGBTQ+, sempre più presente (nel senso di manifesta) nei luoghi di lavoro e importante dal punto di vista della gestione delle relazioni interpersonali, partendo ad esempio dalla necessità di gestire eventuali fenomeni discriminatori, non palesi, che possono minare la comunicazione e rallentare l’operatività.

Le nuove generazioni, inoltre, si stanno confrontando con la fluidità di genere e questo cambiamento necessita di accorgimenti nella comunicazione già a partire dalla formazione scolastica, e successivamente nel mondo aziendale (basti pensare all’opportunità di riuscire a comunicare in maniera adeguata la promozione di un prodotto o servizio, che soddisfi non solo più i termini “per lui e per lei”)

E’, per fortuna, evidente a tutti, almeno concettualmente, che la diversità sia funzionale alla sopravvivenza delle organizzazioni, in termini di strategia, di operatività e, fenomeno più recente spinto dalla pandemia, anche relativamente alla richiesta (non richiesta in realtà, ma accaduta) di essere diversi nel nostro modo di lavorare. Solo da opinioni diverse e variegate può nascere una nuova idea e il confronto continuo con punti di vista differenti è fondamentale per la gestione delle variabili, sempre maggiori e improvvise.

Quindi, ben venga la diversità, solo se in azienda sono presenti strategie e percorsi formativi e consulenziali, di lungo periodo, sui quali Performando lavora da molto tempo, volti alla sua valorizzazione e conseguente soddisfazione delle persone coinvolte direttamente, tra le quali ci potrebbe essere anche chi analizza gli indici di redditività, che sono parimenti importanti!

In caso di COACHING… un caso di Coaching: Performando per TECNOSTRUTTURE

a cura di Mario Bassini

IL SIGNIFICATO DI COACHING

Tra le diverse definizioni di coaching che è possibile trovare, particolarmente rilevante secondo noi è quella proposta da EPCA (European Professional Coaching Association), che definisce il Coaching come “una metodologia che caratterizza il rapporto di Partnership tra il Coach e il suo Cliente che si pone come obiettivo, più che insegnare qualcosa alle persone, aiutarle ad imparare e di far emergere appieno le loro potenzialità a vantaggio di una competenza da sviluppare o di un risultato da migliorare.

Partendo dal presupposto che ogni persona è sana e ha già in sé tutto ciò che le occorre per stare bene, il Coaching si differenzia da tutti gli altri interventi di psicoterapia e consulenza, poiché non è orientato alla cura di disturbi psicologici o di problemi specifici, bensì allo sviluppo dei talenti e delle potenzialità.

L’intervento di Coaching può esistere solo ed esclusivamente in relazione a specifici obiettivi formulati dal cliente con l’aiuto del coach e raggiungibili attraverso una metodologia pragmatica, rapida ed efficace.

IL CONTESTO

Tecnostrutture è un’azienda straordinaria e particolare, che opera con successo da oltre 35 anni nel settore delle costruzioni.

Franco Daniele, che di Tecnostrutture è il fondatore e titolare, la definisce “unazienda orientata al cambiamento”; per diventare lazienda leader del settore e vincere la concorrenza dei competitors non basta avere dipendenti individualmente efficaci e competenti nel progettare, realizzare e vendere un buon prodotto, ma questi devono soprattutto saper lavorare bene insieme. C’è bisogno di ascolto, di costruire una chimica allinterno del gruppo e di rispettare tutta una serie di dinamiche relazionali e comportamentali”.

La gestione delle risorse umane rappresenta quindi l’aspetto più delicato e critico per l’imprenditore.

Quella con Performando è stata, per Tecnostrutture, la prima esperienza di utilizzo della metodologia di Coaching. Tra gli obbiettivi concordati era particolarmente presente quello di sviluppare un aspetto di miglior copertura di ruolo, favorendo modalità di stile di leadership innovative in particolare per due figure aziendali. Era necessario un progetto di “ottimizzazione” che tenesse conto che le due figure evidenziate presentavano profili comportamentali, punti di forza e di debolezza, molto diversi l’una dall’altra.

A tal proposito, interessante riprendere un commento dell’imprenditore:

Ho scelto di avviare un percorso di coaching per la sua completezza: infatti va a lavorare sullo sviluppo di tutta la persona. Inoltre la peculiarità di un percorso di coaching è proprio la sua personalizzazione ed io avevo bisogno di una modalità che mi permettesse di trattare tematiche differenti a seconda dei fabbisogni evidenziati dai miei due collaboratori”.

LA STRUTTURA DEL PERCORSO

Prima dell’inizio del percorso di coaching individuale è stato fatto compilare ai due professionisti il test di autovalutazione D-I-S-C, utilissimo supporto sugli aspetti comportamentali della persona. I grafici risultanti vengono analizzati e commentati dal coach durante i colloqui individuali con ciascuno dei coachee.

Da quel momento è stato avviato il percorso di coaching individuale: uno ha toccato più gli aspetti relazionali quali la collaborazione, il lavoro di gruppo, la comunicazione, l’apertura e la gestione del conflitto; mentre il secondo si è focalizzato maggiormente sulla gestione dei collaboratori, la gestione dello stress, la delega, l’autorevolezza, lo sviluppo della leadership. Questi temi non sono stati trattati tutti con la stessa intensità, alcuni essendo più urgenti e corposi di altri hanno impegnato più di una sessione.

A seconda dell’obiettivo delle sessioni, il coach ha utilizzato differenti strumenti, quali le simulazioni e lo shadowing coaching, per dare maggiore concretezza all’argomento trattato (lo shadowing coaching si applica per osservare il coachee all’opera, ad esempio affiancandolo durante una riunione di lavoro o una visita allo stabilimento produttivo).

Un aspetto che ha suscitato grande interesse è stata l’assegnazione dei compiti per casa alla fine di ogni incontro, commentati e discussi nella sessione successiva e utilizzati come spunti per le nuove tappe di miglioramento. Talvolta le attività consistono anche in letture, visioni di video e/o film. In generale esse sono state giudicate da entrambi i protagonisti come fondamentali per potersi ‘allenare’ sui giusti atteggiamenti da tenere in ambito lavorativo.

DURATA DEL RAPPORTO DI COACHING

Il percorso di coaching descritto è iniziato a luglio 2019 ed è terminato a giugno 2020. Le due persone interessate non sono state “obbligate” a parteciparvi ma hanno deciso di loro volontà di accettare questa possibilità, offerta e consigliata dall’azienda. Entrambi hanno partecipato a 15 sessioni individuali con una cadenza bimensile per le prime cinque sessioni, passando poi ad un intervallo di tre settimane per le restanti. La loro durata circa 90 minuti.

METODOLOGIA APPLICATA

Nel caso dell’esperienza in Tecnostrutture, il modello prevalentemente seguito durante il percorso è stato il G.R.O.W. elaborato da John Whitmore.

Per tutta la durata del percorso l’efficacia viene costantemente monitorata dal coach attraverso l’uso di strumenti qualitativi e quantitativi, quali report e feedback.

L’uso di questi strumenti garantisce anche un continuo confronto tra coach e committente, confronto utile ad entrambe le parti per comprendere come procedono le cose, se si stanno producendo risultati concreti, se positivi o negativi e se permangono aree su cui ancora bisogna migliorare.

LA VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DEL PERCORSO:

Nel riportare il loro vissuto, uno degli aspetti che entrambe le persone hanno riportato come determinante per lo sviluppo di un dialogo aperto e sincero tra coach e coachee, è stata l’esperienza del coach maturata in ambito aziendale e la sua anzianità.

Il coach trasuda esperienza, già al primo impatto l’ho visto subito come una figura che avrebbe potuto aiutarmi, qualcuno dal quale poter apprendere qualcosa, sentivo che il suo contributo poteva essermi d’aiuto.”

Durante le sessioni il coach porta soprattutto la sua esperienza e questa condivisione è stata molto apprezzata dai due coachee perché ha permesso loro di acquisire nuovi punti di vista e sviluppare una mentalità più aperta.

Perché il percorso abbia efficacia inoltre serve instaurare un vero rapporto di fiducia tra coach e coachee: “Non mi sono mai sentito giudicato dal coach, è una persona che ti invoglia a parlare, che ti mette a tuo agio e ti rasserena; senza dubbio credo che se lui fosse stato una persona più seria/rigida sarebbe stato più difficile per me parlarci tranquillamente.” 

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE

Se questo racconto avrà suscitato in chi lo ha letto, grazie alla sua sana curiosità, interesse e motivazione, ci auguriamo che le nostre risposte, e proposte, su un tema ancora per certi versi troppo poco approfondito e praticato dalle organizzazioni del nostro “bel paese”, abbiano aperto le porte a prospettive di nuove, numerose esperienze concrete.

Augurando buon lavoro a tutti coloro i quali avranno voglia di cimentarsi in concreto, contribuendo attivamente alla diffusione di questo potentissimo strumento di ottimizzazione e crescita, per le persone e le organizzazioni!

Ringraziamo Tiziana Forlin giovane studentessa di Psicologia, per averci permesso di condividere diversi passaggi delle sua tesi, che racconta in maniera ancora più approfondita e analitica l’esperienza condotta a fianco di Tecnostrutture.

SMART DISC EXPERIENCE: IL PRIMO PASSO VERSO LA CERTIFICAZIONE INTERNAZIONALE DISC

Cosa è la SMART DISC EXPERIENCE?

La smart disc experience è un percorso formativo di 8 ore via web finalizzato alla conoscenza dei sistemi persolog® a base D-I-S-C e gli stili comportamentali.

Il percorso è ispirato alla prima giornata di Certificazione Internazionale, al termine della quale verrà rilasciata l’abilitazione all’utilizzo degli strumenti di self assessment a base D-I-S-C. per 4 mesi.

Quali sono i vantaggi del modello DISC?

Conoscenza rapida dei talenti che i propri collaboratori stanno mettono in campo, le loro motivazioni vincenti, le aree di attenzione per la loro gestione, il grado di flessibilità che sanno utilizzare, le posizioni in cui possono dare il meglio ed essere realizzati.

I sistemi basati sul modello DISC sono utilizzati in tutto il mondo in percorsi di selezione, assessment, sviluppo, formazione e processi organizzativi.

Cosa prevede La SMART DISC EXPERIENCE ?

E-LEARNING – Un percorso di videolezioni corredate dal manuale del partecipante ed esercitazioni

SELF ASSESSMENT PERSONALE – Un’ora di assessment personale sul tuo Personal Profile e il tuo Job Profile con un Master Trainer persolog®

PIATTAFORMA DIGITALE – Apertura della piattaforma per ordinare i test corredata di 50 crediti per 4 mesi di prova

LIBRO – Una copia del libro “ABC del Comportamento” che ti verrà inviato al termine del percorso.

La formazione teorica e gli esercizi sono online, ma al termine della parte formativa teorica è prevista una sessione one to one con un Master Trainer persolog® per chiarire domande, dubbi e approfondire i tuoi test.

Clicca qui per scaricare il programma di dettaglio

Cosa posso fare alla scadenza dei 4 mesi dall’apertura della piattaforma?

Al termine del periodo di quattro mesi di utilizzo della piattaforma eport, la Smart Disc Experience potrà essere convertita (a scelta) in:

certificazione full (dal cui investimento verranno stornati i 370 euro già versati)

sottoscrizione a 400 euro + iva di un canone annuale di utilizzo della piattaforma eport  –  comprensivo di ben 300 crediti – che permette di erogare per 12 mesi il questionario Personal Profile D-I-S-C  (versione base) ed il Job Profile, entrambi sperimentati nel corso

termine dell’esperienza

Qual è l’investimento del percorso?

L’investimento per il percorso on line è di soli € 370 + IVA

Come posso iscrivermi o avere ulteriori informazioni?

Contatta i master trainer D-I-S-C Andrea Petromilli e Sara Caroppo scrivendo a info@performando.it

Gestione delle crisi e contingenza COVID-19: spunti di riflessione per organizzazioni e persone

a cura di Mario Bassini

Premesso che tutti ne avremmo fatto volentieri a meno, dall’inizio di questo tormentato 2020 i nostri sistemi organizzativi stanno sperimentando in modo a dir poco altamente probante quanto fossero, o non fossero, attrezzati per la gestione di una condizione di crisi.

Situazioni così difficili come quelle che stiamo vivendo ormai da mesi, conducono verso il limite non solo le capacità dei sistemi, delle procedure, dei processi, ma testano in modo formidabile anche la resistenza, la resilienza e le competenze dei singoli, a tutti i livelli; nelle criticità emergono prepotentemente, in grande evidenza, le debolezze e le difficoltà delle persone ma anche, nella maggior parte dei casi, le straordinarie risorse che normalmente restano latenti, talvolta nemmeno si pensava di avere a disposizione. 

Ci sono risposte arrivate per decreto, quindi dall’esterno (e il fatto che in tante realtà solo grazie all’intervento governativo queste risposte abbiano trovato percorribilità già la dice lunga…), ma per avere a disposizione altri, indispensabili strumenti, sarebbe probabilmente servito qualcosa di diverso: il solo Smart Working non basta, servono volonterosi e convinti Smart Worker e, prima ancora, Smart Organization, Smart Manager, e tanto altro a supporto.

Come stiamo da questo punto di vista? Essendo frequentatori “di lungo corso” delle organizzazioni aziendali, siamo propensi a pensare che qualche “turbolenza” si sia fatta sentire e svariante carenze siano state impietosamente messe a nudo. Si vedono però anche possibili opzioni di miglioramento.

Una recente indagine pubblicata sulla rivista Persone & Conoscenze, ha messo in risalto alcuni aspetti che meritano un approfondimento e forniscono più d’uno spunto.

L’inchiesta ha coinvolto oltre 200 aziende, attive prevalentemente nei settori Servizi e Manufacturing, sparse tra nord-ovest (50,7%), nord-est (19,9 %), centro (22,6 %), sud e isole (6,8 %).

Ebbene, le realtà intervistate hanno a larga maggioranza dichiarato di essersi trovate impreparate alle incertezze, prive di piani finalizzati al riguardo e con il solo SW come possibile risposta: oggettivamente, un po’ pochino.

Il 68% delle aziende coinvolte ha affermato che non aveva a disposizione un piano di gestione della crisi; ciò nonostante, il riadattamento è stato veloce, dato che il 90% delle realtà ha comunque continuato a lavorare. La dimostrazione che nel bel paese sicuramente non saremo campioni di organizzazione, prevenzione e programmazione, ma quanto a capacità di adattamento siamo autentici best performer, soprattutto quando arriva il momento nel quale è necessario ricorrere alla nostra forza principale, quella…della disperazione!

A confermarlo il fatto che in molti casi la produttività è perfino aumentata, le aziende stanno recuperando i valori pre lockdown primaverile, c’è persino chi raggiungerà e supererà il budget 2020 nonostante un più o meno consistente stop tra marzo e aprile.

Tra i dati evidenti vi è che la maggior parte, se non la totalità, dei processi dovrà rinnovarsi anche nel medio-lungo termine e che mai come in questi mesi, si è così tanto lavorato da remoto: il 99,5 % dei contesti ha adottato soluzioni di lavoro a distanza, anche se emerge chiaramente che in oltre un caso su due si è trattato di una soluzione nuova, mai veramente testata prima.

Se poco attrezzati ci si è fatti trovare in questa circostanza, la speranza potrebbe essere quella di trarne insegnamento per attivare azioni finalizzate a gestire meglio la prossima sfida, perché appare evidente che la stragrande maggioranza delle organizzazioni ha da implementare un modello nuovo, sia sul lato delle persone che della organizzazione.

Altrettanto intenso e profondo il lavoro da svolgere sul lato della cultura aziendale, che deve evolvere da una modalità prevalentemente impostata sul controllo a una imperniata sulla fiducia.

Servono poi nuovi sistemi e modalità di comunicazione, che portino alla revisione dei protocolli esistenti, assieme all’implementazione di nuove piattaforme. Obiettivo principale tenere collegate le persone, tanto quelle che lavorano prevalentemente da casa, quanto far sentire la vicinanza ai colleghi rimasti in azienda. Ritrovarsi attorno a un insieme di valori identificati e dichiarati, coerentemente agiti nella quotidianità.

Sarebbe errore gravissimo abbandonare la formazione, casomai lo sforzo deve essere maggiore e più intenso, anche per conoscere nuovi strumenti e sfruttarne le potenzialità, per non abbandonare i programmi e anzi completarli, meglio ancora implementarli e arricchirli con nuovi contenuti.

Vincente risulterà stare vicino ai collaboratori tenendoli coinvolti e ingaggiati: per far questo saranno necessari nuovi modi di valutare, anche perché gli obiettivi e i loro cruscotti cambiano, ma bisogna garantire la continuità di questi processi limitandosi a rimodularli, segnalando eventuali problematiche di performance o di natura tecnica. La funzione di bussola di questi sistemi, ove esistenti, è ancor più importante quando si è in momenti di disorientamento e di incertezza.

Un’interessante scoperta viene segnalata sul lato delle modalità di conduzione di alcune attività, per le quali la modalità in presenza era considerata non sostituibile fino a qualche mese fa: oggi in molti ammettono che assessment di selezione remotizzati, se condotti adeguatamente, possono rappresentare uno strumento utile e non meno efficace rispetto alle modalità “tradizionali”.

Cultura e leadership aziendale saranno lo snodo essenziale di questa fase di cambiamento e di ricerca di un nuovo equilibrio.

In Personale e Lavoro”, rivista di cultura delle risorse umane curata da ISPER, abbiamo trovato interessantissimi spunti a proposito di leadership ai tempi dello smartworking, dove la centralità viene individuata nella necessità di favorire l’identificazione di:

  • una nuova cultura aziendale, facile a dirsi molto meno a farsi
  • nuove tecnologie e spazi fisici, come elementi hard
  • nuovi comportamenti, imperniati su delega e fiducia

il tutto veicolato attraverso una leadership agile e orizzontale, grazie a capi coach che sappiano essere flessibili, partecipativi, visionari, in grado di seguire le trasformazioni delle persone e del contesto, facilitando i processi.

Ruolo fondamentale continuerà quindi a essere quello delle persone, in particolare per chi ha mansioni “di comando”, cioè di guida, coordinamento e ispirazione.

Un po’ di tempo è passato da quando Sir Ernest Shackleton pubblicava il suo annuncio “Cercasi uomini per viaggio rischioso. Paga bassa, freddo glaciale, lunghe ore di completa oscurità. Incolumità e ritorno incerti”. Apparso sul Times nel 1914, era volto alla ricerca dell’equipaggio necessario per la spedizione antartica Endurance; risposero in migliaia. La spedizione incappò quasi subito in un problema insormontabile che la bloccò ma grazie a una delle più straordinarie azioni di salvataggio, Shackleton riportò a casa, sani e salvi, tutti i membri della spedizione: certo, magari i nostri sofisticati sistemi di MBO potrebbero parlare di “mancato raggiungimento del risultato”…sorvoliamo.

Erano altri tempi. Più vicino ai giorni nostri, nel gennaio del 2009, il comandante Chesley Sullenberger (‘Sully’) effettuò un ammaraggio nel fiume Hudson, pochissimi minuti dopo il decollo, a causa di un impatto con volatili che danneggiò irreparabilmente entrambi i motori del suo volo. L’incidente non provocò una sola vittima, ma Sully andò a processo per aver violato le regole di sicurezza della navigazione area, fu licenziato e rischiò la galera (da segnalare il film sulla vicenda con Tom Hancks protagonista), salvo essere poi riabilitato.

Nel 2020, le recenti vicende in tema COVID ci offrono l’esempio del comandante Gennaro Arma della nave da crociera Diamond Princess, bloccata in Giappone per settimane dopo la scoperta di casi di Coronavirus tra le persone a bordo: 3700 passeggeri e 705 casi. E’ stato l’ultimo a lasciare la nave, commentando così quando accaduto: “Non mi sento un eroe. Sono una persona normale che ha fatto il suo dovere!” E a nessuno sarà sfuggito il confronto con il comportamento opposto del collega, lui pure italiano, Francesco Schettino: passato tristemente alla storia della navigazione per ben altri motivi.
Due crisi, due approcci radicalmente diversi, il meglio e il peggio nell’espressione della leadership in situazione di emergenza.

Come detto i tempi e le circostanze sono cambiate e differenti ma, in definitiva, a chi svolge attività di governo efficace di persone e organizzazioni, si continua a chiedere

  • valutazione attenta e realistica della situazione (con sempre meno tempo a disposizione)
  • gestione della comunicazione (in contesti spesso molto articolati, ampi e complessi)
  • capacità di coordinamento (con modalità differenti)
  • operatività spinta e presa di decisioni tempestiva
  • massimo utilizzo delle risorse (che sempre più spesso sono scarse)
  • comprensione delle preoccupazioni, delle ansie e delle paure delle persone (disorientate e smarrite)
  • capacità di infondere sicurezza (quando regna l’incertezza)

Per rispondere al meglio, dovrà poter disporre di un ambiente organizzativo e gestionale ottimamente e preventivamente progettato, che sia robusto, efficiente ed efficace.

Fondamentale che sia coerente nei comportamenti, che dovranno essere in linea con le parole. Perché la guida si esprimerà sempre di più con l’esempio. Un valido comandante ne è perfettamente consapevole e, sebbene sia esposto ad esse come qualunque altro essere umano, non ne è vittima e non permette che la sua capacità di reazione ne sia impedita, limitata o peggio ancora paralizzata. Avrà saputo costruire una squadra che lo aiuti e lo supporti, creando un rapporto di fiducia intenso e profondo con le sue persone, che agevolino e ne facilitino il difficilissimo compito.

In definitiva, qualunque sia il modello ispiratore delle nostre organizzazioni, la principale evidenza è che c’è molto lavoro da fare. Bisogna impedire che si avveri una poco entusiasmante e largamente diffusa previsione secondo la quale c’è il rischio che il tessuto della cultura organizzativa italiana, basato essenzialmente su un modello imprenditoriale caratterizzato da PMI che fanno dell’accentramento della proprietà il loro principale cardine, faccia da freno al consolidamento e allo sviluppo di tutto quanto è connotato e veicolato da un approccio SMART, riportandoci a prima della crisi; sarebbe un errore imperdonabile, una formidabile occasione persa, non capitalizzare questa fase convulsa per uscirne con nuovi modelli più agili e predittivi, più forti perché flessibili, basati sulla fiducia, sulla delega, sulla collaborazione e sulla valorizzazione.

Lo smartworking come motore di cambiamento e miglioramento

a cura di Mario Bassini

Con il passare del tempo, quella che era nata come risposta temporanea a una situazione di emergenza (ne avevamo parlato nelle settimane di maggior criticità della pandemia), sta diventando una formidabile opportunità di cambiamento grazie, soprattutto, alla sua diffusione e al protrarsi nell’applicazione. Se in primavera “concedersi” lo smartworking significava reggere l’impatto del momento, ora possiamo vederlo anche come elemento organizzativo e gestionale strutturale e duraturo.

E’ questo probabilmente uno dei pochissimi aspetti positivi del protrarsi di una criticità generale di cui avremmo sicuramente fatto volentieri a meno: vale la pena darsi da fare per riuscire a stabilizzare questi elementi, consolidando la fase di cambiamento (forzato) in miglioramento (acquisito).

Alzi la mano chi non si è trovato, diciamo più o meno tra maggio e giugno, alle prese con qualche importante portatore di interesse, normalmente posizionato ai piani più alti delle chart organizzative, che, quasi tirando un sospiro di sollievo, non si sia espresso con frasi del tipo “bene, festa finita: questa vacanza dello smartworking può dirsi conclusa e si può tornare a lavorare; era ora!”

Persino eminenti personaggi con importanti incarichi di amministrazione pubblica e/o di governo, di varia natura, ha espresso concetti analoghi, salvo poi avventurarsi in sessioni di alpinismo da vetro sostenendo di esser stato frainteso nel suo pensare “all’effetto grotta che rischiava di affliggere nel tempo intere falangi di lodevoli dipendenti comunali, costretti all’isolamento lavorativo da mesi”.

Il cambiamento culturale delle organizzazioni è lento e difficile, soprattutto per quei contesti dove, giusto per fare un esempio di facile comprensione, si centra la valutazione di performance dei collaboratori sulla base della presenza fisica in ufficio, perché si è ancora abituati a dover percepire una sorta di “senso di possesso”, che non trova corrispondenza nell’eterea, impalpabile dimensione delle call Skype, Zoom o Teams.

Eppure le organizzazioni hanno in moltissimi casi retto benissimo, hanno saputo reagire, sono andate immediatamente a caccia di opportunità, cogliendole, laddove si presentavano, senza tentennamenti o rallentamenti, dimostrando in modo tangibile che anche gli smartworker hanno saputo lavorare bene, con efficacia ed efficienza, nonostante la situazione.

Certo forse però è mancata una componente essenziale: c’è bisogno di un po’ più di tempo, e di lavoro, per veder emergere una nuova generazione di smart manager, soprattutto perché c’è da convertire e resettare una folta schiera di capi che con queste nuove leve gestionali non aveva mai avuto a che fare in precedenza.

Sullo smart manager (degni di nota interessanti approfondimenti in proposito sulla rivista periodica ISPER di settembre, contenuti in una tesi di laurea discussa in uno di quei luoghi dove il tema è studiato da tempi non sospetti, ovvero il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli studi di Milano), avremo modo di tornare, perché merita un approfondimento.

Soffermiamoci invece sullo smartworker e sul suo momento di transizione che, come detto più sopra, può trovare giovamento dal fatto che questa situazione si sta prolungando nel tempo: per un verso il popolo dei detrattori ha a disposizione nuovi e/o rinvigoriti argomenti – l’orario di lavoro è diventato liquido, ho perso la dimensione sociale, mi hanno tolto il buono pasto, devo usare la mia wifi, la mia stampante, il mio impianto di condizionamento/riscaldamento, la mia macchinetta del caffè, la mia corrente elettrica,…), per un altro gli entusiasti comprendono e apprezzano la riduzione di molti dei costi di natura psico-fisiologica e logistica della prestazione lavorativa, il vantaggio di una spazio-temporalità più libera (anche se in modo talvolta differente a seconda dei ruoli), la crescita della responsabilizzazione individuale (se percepita come opportunità).

Teniamo conto poi del diverso ageing della popolazione aziendale: i più giovani sono sicuramente quelli che maggiormente richiedono, fin dalle fasi di selezione, se il contesto prevede o meno modalità di lavoro agile ma poi magari ne lamentano il derivante rischio di esclusione, o solo parziale inclusione, nella dimensione sociale e di scambio/trasferimento di competenze, che lo stesso comporta.

Sicuramente da presidiare attentamente il tema, evitando il rischio di un eccessivo “scollamento” tra giovani e veterani. Di contro i colleghi dotati di maggiore anzianità aziendale avranno magari ragionato ironicamente “mi sono mancati i colleghi, il mio capo, l’ufficio…poi però, una volta ritrovati, questo senso di nostalgia si è subito sopito!”

Ma, detto che molti di questi aspetti non possono certo essere definiti sorprendenti, la sintesi del tragitto fatto fino a qui dice che chiunque di noi si trovi a lavorare a vario titolo al servizio delle persone e delle organizzazioni, ha una grande occasione e un’altrettanto grande opportunità: smart working sì ma ben posizionato e gestito, a livello qualitativo e, laddove possibile, quantitativo.

Ai professionisti dell’HR spetta il compito di lavorare per trovare un equilibrio e una linea cui tendere nel lungo periodo, quando l’emergenza sarà definitivamente risolta.

Serve governare il fenomeno con intelligenza e lungimiranza, perché non prevalga l’approccio emergenziale, come in parte è stato finora.

Il vantaggio del prolungamento di questa esperienza “spintanea” sta nel fatto di avere più tempo a disposizione per convincere anche i più resistenti a comprendere, su basi concrete, che in realtà si tratta di una formidabile opportunità e di una potente risorsa che non solo ha costi tutto sommato risibili ma, anzi, in molti casi può rappresentare una fonte di risparmio sui costi aziendali: ci sono organizzazioni che questi conti li hanno già fatti e stanno ripensando agli uffici, al parco auto, ai costi per trasferte, mense aziendali, e tanto altro.

I professionisti dell’HR devono saper contribuire a cogliere, evidenziare e misurare questi aspetti, oltre che gestire accordi e policy strutturate e coerenti, con le quali definire le cornici e le reciproche opportunità.

Celebriamo gli apprendimenti

a cura di Andrea Petromilli

Tra i valori di Performando c’è quello della “condivisione” inteso come desiderio di trasmettere con entusiasmo e passione le nostre conoscenze, capacità e scoperte, e contribuire a “generare valore” per i nostri Clienti.

In questo articolo vogliamo condividere uno strumento che facilita persone e organizzazioni a focalizzare e celebrare i propri apprendimenti, partendo dall’analisi delle proprie esperienze.

E’ noto e risaputo che si apprende dagli errori, soprattutto perché ti “costringono” a cambiare prassi, comportamenti ed abitudini che magari, fino a poco tempo prima, si erano rilevati vincenti. 

Non è così scontato invece apprendere dai “successi”, perché il risultato positivo delle nostre azioni, nella maggior parte dei casi, non viene analizzato adeguatamente, a volte addirittura rischia di essere dato per “scontato”.

Partendo da queste premesse ci piace condividere lo strumento elaborato da “Management 3.0” e denominato “Celebration Grid”.

Tale tool nasce all’interno del contesto “agile” e viene utilizzato nelle “retrospettive” (riunioni di feedback per valutare lo stato di avanzamento di un progetto) per aiutare i team a valutare l’efficacia del lavoro svolto ed indirizzarli nell’elaborazione di modalità utili per intraprendere al meglio gli step successivi del progetto in cui sono coinvolti.

La cerebration grid si compone di 3 step, graficamente rappresentati da 3 colonne da compilare, che ci guidano nell’analizzare l’esperienza oggetto di studio da 3 punti di vista:

Gli errori

Le sperimentazioni

Le buone prassi

Per utilizzare la “griglia” della cerebration grid (scaricabile gratuitamente cliccando qui ) è importante, prima di tutto, focalizzare un progetto (personale e/o organizzativo) di cui si vogliono analizzare gli apprendimenti emersi.

Gli errori vengono elencati/scritti nella prima colonna del modello e rappresentano tutti quei comportamenti che sappiamo essere sbagliati, ma che ci siamo ostinati a perpetuare. Magari alcuni errori si sono rilevati “vincenti” ma solo per una questione di fortuna e la buona sorte, come siamo soliti dire nei nostri percorsi, non è allenabile!

E’ molto più probabile che la maggior parte dei comportamenti caratterizzanti questa prima fase del modello non abbiano contribuito a far avanzare il progetto oggetto di analisi. E’ noto, ad esempio, che fumare fa male alla salute, ma questo non basta per farci smettere di fumare. Ci rendiamo conto che le riunioni del nostro team non sono efficienti ma continuiamo a farle nello stesso modo.

“Pazzia è continuare a fare le stesse cose, aspettandosi risultati differenti” diceva Einstein.

Le sperimentazioni (la seconda colonna del modello) rappresentano tutti i tentativi e i comportamenti sperimentati per trovare soluzioni alternative rispetto a quelle impiegate in precedenza, che spesso abbiamo evidenziato e raccolto nella colonna “errori”.

L’analisi di queste azioni aiuta a far emergere tutte le esperienze nuove che abbiamo attuato, suddivisibili in due categorie: quelle che hanno raggiunto i risultati sperati e quelle che si sono rivelate poco o per nulla efficaci.

Le buone prassi, ultima colonna del modello, aiutano infine a ricapitolare i comportamenti utilizzati derivanti dall’esperienza, dimostratisi utili per risolvere problemi analoghi.

In questa colonna vengono anche raccolte quelle buone prassi non più adeguate, perché magari lo scenario è cambiato radicalmente, in maniera inaspettata.

Le novità imposte dall’attuale pandemia in corso ci stanno costringendo, ad esempio, a rivedere alcuni approcci maturati nel tempo “pre-covid” in termini di attività formative in presenza e/o esperienziale, che prevedevamo una distanza sociale inferiore ad un metro.

Una volta compilata la “griglia”, emerge chiaramente come la colonna centrale sia densa di apprendimenti e potenziali soluzioni, accessibili tanto alla persone quanto all’organizzazione.

Sono proprio i “tentativi” e le “sperimentazioni” (al di là del loro esito) che incrementano l’apprendimento; ed è proprio in virtù di ciò che i nostri percorsi formativi e consulenziali si caratterizzano sempre da un elevato grado di esperienzialità e sperimentazione dei concetti oggetto dei nostri interventi.

Per valutare come utilizzare la Cerebration Grid nel proprio contesto di sviluppo organizzativo e o personale ti invitiamo a scriverci una mail al nostro indirizzo info@performando.it.

Sarà un piacere condividere la nostre esperienze e celebrare insieme gli apprendimenti che emergeranno.

Verso un tempo di qualità

a cura di Bruno Durante

Sul tema tempo si disquisisce dai tempi di Aristotele e probabilmente anche prima… tanto si è quindi scritto e dibattuto. Non ho l’ambizione di aggiungere qualcosa di nuovo, ma nelle poche righe che seguono vorrei riflettere con voi circa la dimensione soggettiva del tempo e sviluppare qualche idea su cosa possiamo fare per aumentare la qualità del nostro tempo.

Partiamo dai dati “oggettivi” o quantomeno condivisi: 1 giornata è composta di 24 ore che corrispondono a 1.440 minuti che equivalgono a 86.400 secondi… e questo dato è valido per tutti noi.

La questione è:

Come la vivo la mia giornata? Quanto del mio tempo è speso in qualità e quanto no?

Quanto il momento attuale ha cambiato la percezione che ho del tempo?

Che atteggiamento riesco ad avere oggi verso il tempo che ho a disposizione?

Il primo punto su cui riflettere è comprendere come dare priorità alle attività che ciascuno di noi svolge.

I criteri di importanza ed urgenza sono la base della matrice di Eisenhower.Importante è un concetto soggettivo: ciò che è importante per te può non esserlo per qualcun altro, ed inoltre ciò che è importante oggi può non esserlo in un altro momento della tua vita personale e professionale.

Imparare a gestire le priorità con consapevolezza è quindi fondamentale per una efficace gestione del tempo, soprattutto quando si lavora in team.

Il concetto di urgente, invece, è oggettivo, e dipende unicamente dalla variabile tempo: va applicato a quelle attività che richiedono attenzione immediata o comunque a brevissima scadenza.

E’ quindi fondamentale essere in grado di definire cosa è importante, cosa meno, cosa è urgente e cosa no e condividerlo con il team.

Un esercizio utile è riflettere non tanto sulle attività/mansioni che ciascuno di noi è chiamato a svolgere, ma soprattutto sulle responsabilità e sugli obiettivi che siamo chiamati ad assolvere.

Se ci pensiamo un attimo, l’evoluzione delle job descrtiption dovrebbe aiutarci in questo. I mansionari di qualche tempo fa erano incentrati e dettagliati sui compiti-attività, mansioni appunto, che le persone erano chiamate a svolgere. In molte organizzazioni, negli ultimi anni, si sta dando molta più attenzione alle responsabilità e agli obiettivi del ruolo, anche in considerazione della sempre maggiore flessibilità che viene richiesta.

Quindi il focus sulle responsabilità dovrebbe portarci a comprendere meglio le priorità che andranno poi condivise con il resto del team e con i responsabili in modo da verificarle in un quadro generale.

Se sono così più chiare le priorità saremo maggiormente in grado di impiegare il nostro tempo in modo organizzato e potremo rispondere con più lucidità alle “crisi” che sono innescate dalle urgenze.

Il secondo punto riguarda un aspetto più personale, cioè la nostra capacità di vivere il tempo in “equilibrio” con il passato, il presente e il futuro.

Gli studi di alcuni psicologi (Zimbardo, Hornik, Zakay principalmente) hanno definito il “Time perspective” come il “processo attraverso il quale organizziamo le nostre esperienze personali in orizzonti e categorie temporali.”

È un aspetto del tempo psicologico, o soggettivo, che si contrappone al tempo oggettivo. Il TP può essere definito come “la presenza dominante di passato, presente o futuro nei pensieri di una persona”. Esso ha risvolti sulle nostre scelte, comportamenti, emozioni, ecc.

Le ricerche hanno dimostrato ad esempio che le persone con una prospettiva fatalistica o focalizzata sul passato negativo hanno maggiori livelli di ansia, depressione, rabbia e aggressività.

Le persone eccessivamente orientate al futuro invece spendono poco tempo in attività personali, come hobby, vacanze, attività ricreative con amici… tendendo quindi a livelli di stress alti e poco salutari. (Zimbardo & Boyd, 1999).

C’è un giusto equilibrio?

La risposta è si!

Il TBP (Time balanced perspective) è definito come l’abilità mentale ad essere flessibili nella prospettiva da utilizzare in base alle caratteristiche della situazione e le risorse personali a disposizione.

Questa risulta un’abilità allenabile e come primo step prevede la consapevolezza: comprendere come eventualmente “rivedere” le esperienze passate in ottica positiva, apprendere come vivere al meglio ciò che si sta facendo ( il concetto del “qui ed ora”), pensare al futuro in termini di scopo e non solo di obiettivi.

In conclusione possiamo dire che è importante e necessario ritagliarsi del tempo per riflettere:

  • sul proprio ruolo e sulle attività extra lavorative in termini di responsabilità, così da definire delle priorità e imparare a condividerle e/o eventualmente negoziarle;
  • sulla qualità di pensieri ed emozioni legati a come ciascuno di voi vive il proprio passato, presente e futuro.

Buone riflessioni e buon tempo a tutti!

Sostenibilità e sostenitori, l’esperienza di Tecnostrutture

a cura di Mario Bassini – Performando e Giulia Daniele – Tecnostrutture

Organizzazione impegnata fin dalla fondazione nel proporre sistemi costruttivi finalizzati prioritariamente a migliorare la qualità della vita delle persone che fisicamente vivono e lavorano nelle strutture realizzate, Tecnostrutture, uno dei player di riferimento di questo settore in forte crescita, è per definizione particolarmente interessata alla sostenibilità del proprio business e del rapporto con clienti, fornitori e collaboratori.

A “ispirare” questa scelta, Il fondatore e attuale Presidente e Amministratore Delegato Franco Daniele; a coordinare l’azione operativa, che è il frutto di uno sforzo corale di tutti i principali snodi dell’organizzazione aziendale, è Giulia Daniele, nella sua veste di manager MKT e Comunicazione, vera fonte di energia positiva e facilitatrice di ogni possibile utile impulso ideativo e realizzativo concreto.

Performando si è inserita e affiancata in questo percorso, perché chiamata a svolgere prima di tutto un ruolo di indirizzo, parallelamente anche di coordinamento degli appuntamenti di impulso e di gestione del coinvolgimento attivo delle persone, che tratteremo nella seconda parte del racconto.

Per comprendere meglio le varie tappe, abbiamo però prioritariamente chiesto a Giulia di raccontarci cosa ha motivato la decisione di incorporare la sostenibilità nella strategia aziendale e come riuscire a diffondere questo nuovo approccio all’interno dell’organizzazione. Ecco il riassunto di questa parte di tragitto, delle risultanze che ha prodotto e delle sue prospettive.

Partiamo dal chiederci: quali sono le tre principali sfide globali della sostenibilità per il mondo delle costruzioni?

Possiamo individuare con certezza queste risposte:

CRESCITA RAPIDA DELLA POPOLAZIONE: nel 2011 la popolazione mondiale ha superato i 7 miliardi (Population Reference Bureau, 2011). Entro il 2024 si prevede che raggiungerà gli 8 miliardi. Ne risulta una maggiore domanda di risorse primarie, nonché di edifici e infrastrutture (CISL, 2019). Di conseguenza si stima che entro il 2060 la superficie edificata raddoppierà (ONU 2014).

URBANIZZAZIONE RAPIDA: più della metà della popolazione mondiale vive nelle aree urbane. Entro il 2050, tale percentuale dovrebbe crescere fino a 2/3 (ONU, 2014) e nei prossimi 30-40 anni ci sarà la necessità di costruire città per circa 2 miliardi di persone nei paesi in via di sviluppo (Day, 2019). Questa crescita urbana senza precedenti comporta enormi sfide (CISL, 2019) che potrebbero essere affrontate rendendo le città inclusive, sicure, resistenti e sostenibili. Proprio quest’ultimo punto rappresenta l’obiettivo numero 11 (SDG 11) dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

CAMBIAMENTI CLIMATICI: gli edifici e le costruzioni rappresentano il 36% del consumo globale finale di energia e il 39% delle emissioni di CO2. Dal 2010, le emissioni di CO2 legate agli edifici hanno continuato a crescere di circa l’1% all’anno. Continuare con questa tendenza nei prossimi decenni renderà sempre più difficile raggiungere le ambizioni per un aumento della temperature inferiore ai 2°C (B2DS) entro il 2100 (UN Environment, 2017). Per garantire B2DS è urgente affrontare la rapida crescita degli investimenti in edifici efficienti e ad alta intensità di carbonio, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.

Di conseguenza, quali sono e saranno le sfide più rilevanti per Tecnostrutture?

CREARE CONSAPEVOLEZZA, attraverso

a. la sensibilizzazione sul costo dell’intero ciclo di vita dell’edificio anziché sul solo costo di acquisto (WorldGBC, 2019);

b. la comunicazione al mercato circa i vantaggi delle costruzioni offsite (Zhai, 2014);

c. la comunicazione della visione di sostenibilità all’interno dell’azienda

RIDURRE ENERGIA ED EMISSIONI nella fase di produzione delle materie prime e nella fase di demolizione, aree cruciali di intervento come mostrato nel rapporto LCA di Tecnostrutture (Calderini-Piccardo, 2018).

CONTRIBUIRE ALL’AGGIORNAMENTO E ALL’ADOZIONE DI CODICI DI SOSTENIBILITÀ come fattore chiave per un cambiamento (Vv.Aa., 2014)

E dunque, perché incorporare la sostenibilità nella strategia aziendale?

Il Global Construction Report mostra che entro il 2030 per il mercato delle Costruzioni è attesa una crescita dell’85% spostandosi verso mercati a crescita rapida (GCP, 2015). Gli edifici e le costruzioni costituiscono il 39% delle emissioni di CO2 (UN Environment ONU, 2017) e i rifiuti da costruzione e demolizione rappresentano quasi il 30% di tutti i rifiuti in Europa (ECIF, 2019).

Queste cifre evidenziano il potenziale contributo che il settore delle costruzioni può dare per un mondo più sostenibile. Ecco perché è tempo che Tecnostrutture integri la sostenibilità nella propria strategia aziendale, ottenendo vantaggi operativi e strategici tangibili.

Qualche esempio:

le fasi cruciali nelle quali possiamo migliorare le nostre performance sono la produzione delle materie prime e la demolizione dei prodotti, come mostrato nel nostro recente rapporto LCA (Calderini-Piccardo, 2018).

Figura 1 – Risultati LCA di tre differenti soluzioni strutturali (Calderini-Piccardo, 2018).

Considerando la volatilità dei prezzi dell’acciaio e le relative emissioni per la sua produzione, le opportunità risiedono nell’ottimizzazione del materiale. Le strutture ottimizzate rappresenteranno un vantaggio competitivo in termini di prezzo e spazio utilizzabile negli edifici.

Per la fase di demolizione, lo sviluppo di soluzioni progettuali già pensate per lo smontaggio può portare alla riduzione di rifiuti, trasformando gli edifici in una banca del materiale (BAMB, 2017) con materiali da rivendere e riutilizzare, a vantaggio dell’investitore.

Attualmente la sostenibilità del marchio di Tecnostrutture è comunicata solo agli esperti LEED e nella sezione www.tecnostrutture.eu/sostenibilita del sito internet. Una strategia globale di green branding ha bisogno di molteplici modifiche in tutta l’organizzazione (Grubor-Milovanov, 2017) e un piano d’azione che metta in evidenza i benefici dei prodotti per gli investitori nelle diverse fasi della vita del prodotto. Questo sforzo è necessario per dimostrare che i prodotti off-side sono più convenienti dei sistemi tradizionali, considerando l’intero ciclo di vita (Zhai, 2014). E il mercato è sempre più preparato ad apprezzarlo. Per esempio, in Cina dal 2014 il governo richiede la piena attuazione degli standard di bioedilizia per edifici realizzati con investimenti governativi e per costruzioni di oltre 20.000 m2 di superficie (CBRE, 2015).

 

Figura 2- Tre tipi di benefici con dettaglio sull’economia circolare di Tecnostrutture. Evidenziate in arancio, le fasi cruciali per un potenziale miglioramento.

I Sostenitori in Tecnostrutture e il “Comitato Sostenibilità”, il contributo di Performando.

Stante il quadro riassunto da Giulia, con il corredo tecnico delle evidenze e delle risultanze di ricerche mirate a focalizzare gli aspetti salienti, l’estensione a tutto il contesto aziendale è stata un fatto che potremmo definire conseguente e coerente.

Dalla fine del 2019 questo slancio, questa modalità organizzativa e gestionale, è stata esplicitata attraverso l’ufficializzazione e la creazione di un vero e proprio team di “sostenitori”, ovvero propagatori di modelli sostenibili, che attraverso il proprio impulso personale e di area organizzativa aziendale cui appartengono, si fanno propositori e promotori concreti e attivi di piccoli e/o grandi progetti di lavoro destinati a produrre effetti tangibili di questa spinta al miglioramento.

Uno sviluppo sostenibile di successo necessita di collaborazione tra tutte le parti interessate (stakeholders). Ecco perché il team interfunzionale denominato “Comitato Sostenibilità” ha un ruolo fondamentale. I suoi componenti, i sostenitori, sono autentici agenti del cambiamento, promuovono azioni sostenibili, ciascuno con riferimento al proprio dipartimento, e quindi assieme nell’intera organizzazione.

I sostenitori sono volutamente scelti trasversalmente in quanto competenti di ciascuna delle aree organizzative principali dell’azienda, per avere e permettere un impatto globale e complessivo sull’organizzazione, un apporto corale, una possibilità di azione allargata a 360° nell’individuazione di proposte e soluzioni concrete, efficaci, condivise: 

Risorse Umane, Direzione Tecnica, Ricerca & Sviluppo, Logistica, Operations, Commerciale, le aree presenti e rappresentate da un componente effettivo.

Dietro a questo lavoro sul campo, un Comitato Guida a dare legittimazione e autorevolezza, visibilità e indirizzo scientifico e oggettivo, con rappresentanti del modo imprenditoriale e accademico:

Andrea Fornasiero, Presidente del Comitato Standard di Green Building Council Italia, l’associazione no profit che favorisce la diffusione di una cultura dell’edilizia sostenibile, facente parte della rete internazionale dei GBC;

Andrea di Lenna, Direttore di Performando, società di formazione manageriale e di consulenza per lo sviluppo personale e organizzativo che opera sull’intero territorio nazionale;

Chiara Calderini, Professoressa presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale dell’Università degli Studi di Genova, ha curato la valutazione LCA di Tecnostrutture (Life Cycle Assessment – LCA – finalizzato a comparare e analizzare l’impatto ambientale del sistema misto NPS® di Tecnostrutture rispetto a strutture in acciaio e calcestruzzo armato).

I gruppi si incontrano con cadenza trimestrale e anche in questa fase così delicata e problematica perché segnata in modo estremamente impattante dall’emergenza COVID-19, sono stati possibili contributi concreti e reali di sicuro e immediato impatto anche nella motivazione e gratificazione delle persone, che sono state in grado di formulare queste proposte: l’ultimo incontro, in aprile, non è stato minimamente intralciato dalla situazione di “lockdown” che anche Tecnostrutture stava vivendo, né ha compromesso il raggiungimento dei risultati prefissati. Una gratificazione che si poteva toccare con mano dialogando “a distanza” con tutti gli interessati e percependone la soddisfazione.

La sostenibilità, intesa principalmente come il contributo per l’ambiente che una realtà quale Tecnostrutture è in grado di mettere a disposizione del sistema nel suo complesso, può quindi divenire attraverso questa modalità ed esperienza, anche uno strumento cruciale per aumentare il coinvolgimento di tutto il gruppo di persone che offre ogni giorno il proprio apporto professionale. Contribuisce infatti a motivare, ispirare e trattenere le persone, poiché è stato osservato che dipendenti impegnati hanno l’87% di probabilità in meno di lasciare la propria organizzazione (CISL, 2013). Può anche supportare l’attrazione di talenti, vista la maggiore sensibilità delle giovani generazioni per la sostenibilità (Stacey, 2019).

I KPI legati alla sostenibilità saranno un mezzo ulteriore per premiare le performance positive e contribuiranno al percorso di crescita che Tecnostrutture ha molto chiaramente definito per il 2020 e gli anni a venire. Il contributo di Performando è un utile bagaglio di esperienza e di concretezza, che può rappresentare elemento distintivo esportabile anche ad altre organizzazioni che vogliano incamminarsi in questo percorso di crescita, massimizzando la possibilità di successo.

Un percorso da proseguire insieme, per dare continuità di risultati al business e di positivo coinvolgimento alle persone: un circolo virtuoso che ottimizza le relazioni fra tutti gli interlocutori coinvolti, vero esempio di economia circolare a sostegno e rafforzamento della responsabilità sociale d’impresa.

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