G2G, ovvero “From Good to Great”

A cura di Antonio Agostini

kirwan7Osservare da vicino i campioni dello sport e’ sempre un’esperienza interessante. Ma qualche volta risulta maggiormente toccante, come una piccola perla di saggezza che ti metti in tasca e ti porti via. Questa volta, con John Kirwan e la nazionale di rugby del Giappone, e’ andata così. Almeno per chi, come me, trova sempre interessante approfondire con maestri di tanta competenza il tema della motivazione e dello sviluppo di se stessi.

L’occasione, d’altra parte, era da non perdere: la squadra giapponese per qualche giorno in ritiro pre-campionato del mondo a Treviso, terra d’adozione di John, dove vive la sua famiglia e dove torna regolarmente ogni volta che il suo incarico di allenatore della nazionale del Giappone glielo permette; una splendida giornata estiva, che ha lasciato che gli ospiti orientali potessero godere appieno dell’ospitalità trevigiana, e che ha fornito l’occasione a noi di Performando di invitare alcuni dei nostri più affezionati clienti e amici (o perlomeno quelli non ancora in vacanza) ad assistere ad una seduta di allenamento, che si è oltretutto potuta onorare anche della preziosa collaborazione della squadra della Benetton. La quale non ha certo mancato l’occasione di rendere il clima e l’accoglienza agli ospiti di rango ancora più calda e… vigorosamente amichevole. Nella migliore tradizione del rugby, ovviamente: massimo fair play e correttezza, ma confronti veri!.

L’effetto su di me è stato dirompente: guardavo i giapponesi giocare e sentivo assurdamente risuonare nelle mie orecchie le litanie consolatorie e auto-assolutorie di cui e’ spesso piena la nostra società, nello sport, nel lavoro e nella vita: “Scendiamo in campo per difendere il vantaggio conseguito nella partita di andata”, “Il nostro obiettivo e’ quello di controllare la partita”, “Dobbiamo resistere alla competizione dei paesi emergenti”, “I fondamentali della nostra economia sono sostanzialmente solidi”, “Siamo soddisfatti da un “adeguato” nella nostra valutazione annuale delle prestazioni”, “Un’esistenza all’insegna del minimo sforzo”… Altro che una vita al massimo: una vita al minimo sindacale, di noi stessi!

E ho pensato soprattutto alle tre cose su cui Kirwan, nell’incontro con tutti noi dopo la partita-allenamento, ha fatto riflettere con tanta limpidezza; e che marcano in me la differenza fra ciò che e’ e ciò che vorrei che fosse, fra ciò che sono e ciò che potrei essere.

1. La consapevolezza come base di partenza del tuo miglioramento: sapere chi sei, prendere coscienza dei tuoi comportamenti, dei tuoi bisogni più profondi e delle tue emozioni; del livello reale di quello che fai, rispetto a quanto potresti se ti impegnassi veramente e di più, senza scuse e senza interpretazioni di comodo. Tutto registrato da un sensore GPS che i medici ed i tecnici della nazionale legano addosso ai giocatori sotto la maglietta e che annota tutto: quanto veloce corri, i kilometri che fai, i battiti cardiaci, i confronti rispetto alle volte precedenti e alle tue medie. Non puoi più nasconderti. Sei lì, davanti ai numeri, ad un grafico, davanti a te stesso. Gli alibi sono finiti, sei costretto ad ammettere, ad accettarti per quello che sei. E a partire da lì per migliorarti, se davvero lo vuoi. Chissà che cosa succederebbe se inventassero il GPS della nostra vita…

2. L’onestà come qualità necessaria per migliorare insieme agli altri: perche’ più difficile ancora di prendere coscienza dei propri limiti e’ confessarlo. Come potremmo mai pensare di giocare a rugby nascondendoci ai nostri compagni di squadra? E il rugby è poi così diverso dal nostro lavoro di tutti i giorni? John ci ha raccontato di un suo giocatore che gli confessava di avere paura: ci vuole molto coraggio per ammettere di aver paura, quando giochi nella nazionale di rugby del Giappone, terra di samurai e di suprema concezione dell’onore. Ma quanto deve far bene scoprire che anche gli altri hanno paura; che in fin dei conti e’ normale nutrire qualche larvato timore, quando tu pesi solo 85 kili e il tuo avversario 110; che puoi contare sul sostegno del tuo compagno, che d’ora in poi ti seguirà un po’ più da vicino, proprio perché sa che tu hai paura (esattamente come lui) e cercherà così di farti coraggio. E’ difficile in un mondo che punta sull’immagine e sull’apparenza, coltivare le virtù dell’onestà e della trasparenza. Ma possiamo oggi permetterci di farne a meno?

3. Non accontentarsi, perché dentro ciascuno esiste un potenziale ancora inespresso: che non sia un preludio alla presunzione e all’insoddisfazione, ma una spinta fondamentale al proprio miglioramento; che si manifesti in quella ingenua capacità di domandarsi di continuo “e io perché no?” E’ questa l’essenza del motto scelto dalla nazionale di Kirwan: “G2G”, ossia “From Good to Great” (da buono a grande). Perché accontentarsi di essere già una buona squadra? Perché limitarsi ad aver raggiunto il 12esimo posto nella classifica mondiale delle nazionali di rugby, partendo dal 19esimo e in soli quattro anni? Perché accettare come dato immodificabile la posizione della nostra azienda sul mercato e la qualità attuale dei nostri prodotti? La grandezza e la gloria non si raggiungono per caso e all’improvviso: sono fatte di tanti piccoli passi, di piccoli ma continui progressi quotidiani dentro di noi. Certo e’ difficile immaginarsi campioni, nello sport come nella vita; ma quel decimo di secondo in meno, quella piccola quota di mercato in più, presi singolarmente, ci sembrano meno impossibili, un obiettivo alla nostra portata. E’ allora che cominciamo a migliorare veramente, un passo dopo l’altro. Perché il vero avversario da battere non e’ quello nella squadra avversaria: e’ dentro di noi.

Non sono certo riflessioni nuove. Ma una cosa e’ leggerle in libro di management, altro e’ sentirle risuonare dentro di te, raccontate come episodi di vita vissuta da una gloria dello sport; messe in pratica sotto i tuoi occhi da una squadra di campioni. Che peseranno forse “solo” 85 chili (il mediano di mischia), ma una certa impressione quando partono tutti insieme all’attacco e te li vedi correre incontro te la fanno lo stesso. Perché funziona. Perché è il sostegno all’individuo, e non il possesso di semplici competenze o tecniche sportive a fare la differenza. Perché la vera chiave per il successo, come ogni buon coach sa (e chi meglio di John?), non sono tanto gli indici di prestazione, sportiva o professionale che sia, ma la tranquilla e consapevole fiducia in se stessi.

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