“Perche’ IL LAVORO FA SCHIFO e come migliorarlo” – Cali Ressler e Jody Thompson

lavoroAutore: Cali Ressler e Jody Thompson

Anno di pubblicazione: 2008

Editore: Elliot Edizioni, Roma

Numero di pagine: 256

Costo: 14,00 Euro


Recensione a cura di Antonio Agostini

Il titolo di questo libro non gli rende giustizia. Messo cosi’, fa proprio la figura di uno di quei soliti libriccini un po’ insulsi sugli aspetti tragicomici della vita quotidiana, sul genere “lo stupidario degli uffici”. Traduzione malaccorta, ma d’altra parte il titolo o-riginale non lasciava molte altre scelte: “Why work sucks and how to fix it. No schedules, no meetings, no joke – the simple change that can make your job terrific.” Peccato, perche’ cosi’ facendo le due brave autrici si saranno forse perse chissa’ quanti lettori. E hanno perso anche l’occasione per evangelizzare come si deve la cultura manageriale prevalente, che, almeno per quanto riguarda l’argomento ogget-to del libro, ne ha davvero bisogno.
Prendo a prestito due recensioni autorevoli per introdurre il concetto come meglio non si potrebbe:
“Il lavoro non e’ il luogo fisico dove ci rechiamo ogni mattina, ma e’ cio’ che fac-ciamo. Sono le nostre idee, i nostri progetti, i risultati che produciamo. E non il tempo trascorso dietro una scrivania.” (Business Week)
“Basta con le riunioni inutili, dover lottare contro il traffico per arrivare in ufficio alle nove o magari elemosinare un permesso per andare a vedere la partita di tuo figlio. Si puo’ lavorare al parco, al bar, a casa. A mezzanotte, alle tre di mat-tina o anche di domenica. Sempre e dovunque, a patto che il lavoratore ri-spetti gli obiettivi aziendali.” (Time)
L’idea e’ vecchia e anche un po’ utopistica: perche’ dobbiamo avere un orario di la-voro? Ci sono mansioni che, naturalmente, sono intrinsecamente legate ad un mo-mento preciso della giornata: gli autisti degli autobus, gli infermieri in un ospedale, il giornalaio all’angolo. E li’ fare a meno dell’orario di lavoro sarebbe bello ma difficil-mente ipotizzabile. Ma per tutta quella parte sconfinata di lavoratori – come noi, in-somma – che svolgono oramai delle mansioni praticamente autonome, dal punto di vista produttivo e organizzativo, all’interno di uffici e aziende grandi e piccole, non potrebbe essere invece concepito un definitivo e totale affrancamento dalla illogica schiavitu’ dell’orario? Un contabile, un progettista, uno specialista di marketing, un professionista in genere: che bisogno hanno queste persone di essere fisicamente vincolate ad una postazione e ad un orario di lavoro?
E infatti negli ultimi decenni non sono mancati i tentativi per rendere entrambi i vinco-li piu’ elastici e adattabili alle esigenze dei singoli, nel rispetto ovviamente delle esi-genze produttive.
Sperimentazioni a volte infruttuose, piu’ spesso positive, che pero’ non sono state in grado di scalfire piu’ di tanto questa sorta di grande Moloch dell’at-tuale religione lavorativa. Forse perche’ sono state concepite male fin dall’inizio, come iniziative graziosamente octroyées dai datori di lavoro, sia pure con la compar-tecipazione interessata del sindacato di turno, ça va sans dire. Oppure perche’ tutti i vari “ma” e “se” teoricamente immaginabili hanno finito per tarpare le ali a qualunque progetto, ancor prima che potesse dispiegare i suoi benefici effetti. Orario flessibile, part-time, banca ore, telelavoro. Tutte parole che hanno segnato altrettante epopee delle relazioni industriali. Prima della globalizzazione, dei Co.co.co., degli operatori di call centre a partita Iva. Ere geologiche fa. Certo, qualcosa e’ cambiato in questi anni. Ma quanto?

Qui invece c’e’ una bella storia, di quelle che piacciono a noi e che ci fanno sognare. Che ci fanno domandare: gia’, perche’ no? La raccontano due consulenti, che han-no guidato la Best Buy, una delle maggiori aziende americane di acquisti online, ad adottare la filosofia di rivoluzione del luogo di lavoro nella sua forma piu’ estrema e talibana. Gia’, perche’ le rivoluzioni o si fanno per bene o senno’ e’ meglio lasciar perdere. Hanno semplicemente immaginato l’assurdo: aboliamo non tanto l’obbligo di rispettare un orario e un luogo di lavoro, quanto piuttosto i concetti stessi di luogo e orario di lavoro. Non solo non e’ piu’ necessario andare per forza in ufficio tutti i giorni; e’ addirittura vietato anche solo domandare al collega o al collaboratore “Scusa, che tu per caso vieni domani al lavoro?” Perche’, con la stretta logica tutta anglosassone un po’ estremista che caratterizza molti comportamenti d’oltreoceano, l’unica risposta possibile sarebbe “Non sono affari tuoi”. Uno ha i suoi compiti da svolgere, i suoi obiettivi da raggiungere, i suoi target e i suoi indici di produttivita’ da rispettare: che cambia se lo fa questa sera, domani mattina o domenica pomerig-gio? Se lo fa dalla sua scrivania in ufficio o dalla poltrona del suo salotto? O dalla panchina di un parco pubblico? Non mi dite che oggi manchino le possibilita’ di con-nessione “H24” e “7su7”. Detta cosi’ e’ semplice: sono le conseguenze logiche di un’applicazione integrale del concetto che rasentano il comico. Finisce che non esi-stono piu’ riunioni: o meglio, ci sono, solo che non si e’ obbligati ad andare; si rice-ve un’e-mail di invito e si decide se interessa o no. Se chi l’ha convocata si ritrova poi da solo in sala, beh, vuol dire che ha un’occasione in piu’ per riflettere su quanto la sua bella riunione venga ritenuta utile dagli altri colleghi. Continuano ad esistere le ferie, ma gia’ il concetto di riposo settimanale inizia ad essere sempre piu’ sfuma-to: magari uno preferisce andare al cinema con la moglie di pomeriggio perche’ co-sta meno e recupera con il lavoro arretrato durante il week end. Insomma, tutto piu’ autonomo e indipendente.
Impossibile? Beh, alla Best Buy sembra che ci siano riusciti. Non per tutti, ma per una buona parte dei lavoratori che hanno accettato di sottoporsi a questo esperi-mento che poi e’ diventata la norma generale di lavoro. C’e’ un segreto, pero’: re-sponsabilizzazione.
Parola difficile, che spaventa. Tradotta nella propaganda interna della Best Buy di-venta: “ROWE – Results Only Work Environment”. Per questo ho parlato di respon-sabilizzazione. Perche’ il controllo sul lavoro c’e’, altroche’ se c’e’. Mica e’ la repub-blica di Pulcinella. Anzi. Tutti hanno degli obiettivi, chiari, precisi, espliciti; concor-dati con il proprio capo e resi compatibili con quelli degli altri colleghi, degli altri setto-ri e con gli obiettivi piu’ generali dell’azienda. E sulla base di questi, e solo su questi, si viene valutati e, conseguentemente, premiati o puniti. Lavoro eseguito oppure no. Obiettivi raggiunti o invece mancati. Dentro o fuori. Non e’ una vita facile: si e’ la-sciati soli a se stessi; non ci sono piu’ scuse; si e’ messi di fronte alle proprie capa-cita’ e alla propria forza di volonta’. E infatti, come dicevamo, non tutti i dipendenti della Best Buy hanno accettato queste nuove regole – forse timorosi di un’inaspettata ed eccessiva autonomia – anche se poi piano piano hanno finito tutti per convincersi. Perche’ il vantaggio implicito di questo sistema e’ enorme, incalcolabile: liberta’.

Nota che risultera’ di particolare interesse per gli esperti di Risorse Umane: un’inda-gine di clima condotta all’interno dell’azienda un po’ di tempo dopo l’inizio dell’espe-rimento, confermava la valutazione molto positiva del personale. Fra gli indici di “benessere” valutati in maniera piu’ favorevole, ne spiccavano soprattutto due: l’ab-bassamento del turn-over volontario e l’innalzamento di quello involontario. Tradu-zione per i non-addetti: meno gente che dava le dimissioni per cercare lavoro da qualche altra parte (evidentemente perche’ piu’ contenta e soddisfatta); aumentava il numero di lavoratori licenziati (soprattutto per insufficiente produttivita’ e per non aver raggiunto i propri obiettivi, derivante dall’applicazione del concetto ROWE). E’ singolare che quest’ultimo fenomeno, quello dei licenziamenti, venga ritenuto positi-vo, non da qualche capo del personale un po’ Gestapo (ce ne sono sempre), ma dai lavoratori stessi. Basta con gli imboscati, non ne possiamo piu’ di raccomandati, fuori gli scansafatiche, che’ poi e’ a noi che tocca lavorare anche per loro. Questo e’ il sentimento popolare, tradotto in volgare dall’asettica astrazione degli indici statistici delle indagini di clima. Incredibile ma vero, aver abolito orario e luogo di lavoro non e’ servito tanto per fare un favore alle mamme premurose con prole da accudire: e’ servito soprattutto per aumentare l’attaccamento all’azienda e al proprio lavoro. Ri-dandogli quella connotazione che temiamo ormai di aver perduto sempre piu’: la di-gnita’.
E a chi dovesse pensare che si tratti della solita “americanata”, suggerirei di fare una telefonata alla ZF, azienda metalmeccanica di Caselle di Selvazzano (PD). Ne sco-prirete delle belle. Buona lettura.

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