Gestione delle crisi e contingenza COVID-19: spunti di riflessione per organizzazioni e persone

a cura di Mario Bassini

Premesso che tutti ne avremmo fatto volentieri a meno, dall’inizio di questo tormentato 2020 i nostri sistemi organizzativi stanno sperimentando in modo a dir poco altamente probante quanto fossero, o non fossero, attrezzati per la gestione di una condizione di crisi.

Situazioni così difficili come quelle che stiamo vivendo ormai da mesi, conducono verso il limite non solo le capacità dei sistemi, delle procedure, dei processi, ma testano in modo formidabile anche la resistenza, la resilienza e le competenze dei singoli, a tutti i livelli; nelle criticità emergono prepotentemente, in grande evidenza, le debolezze e le difficoltà delle persone ma anche, nella maggior parte dei casi, le straordinarie risorse che normalmente restano latenti, talvolta nemmeno si pensava di avere a disposizione. 

Ci sono risposte arrivate per decreto, quindi dall’esterno (e il fatto che in tante realtà solo grazie all’intervento governativo queste risposte abbiano trovato percorribilità già la dice lunga…), ma per avere a disposizione altri, indispensabili strumenti, sarebbe probabilmente servito qualcosa di diverso: il solo Smart Working non basta, servono volonterosi e convinti Smart Worker e, prima ancora, Smart Organization, Smart Manager, e tanto altro a supporto.

Come stiamo da questo punto di vista? Essendo frequentatori “di lungo corso” delle organizzazioni aziendali, siamo propensi a pensare che qualche “turbolenza” si sia fatta sentire e svariante carenze siano state impietosamente messe a nudo. Si vedono però anche possibili opzioni di miglioramento.

Una recente indagine pubblicata sulla rivista Persone & Conoscenze, ha messo in risalto alcuni aspetti che meritano un approfondimento e forniscono più d’uno spunto.

L’inchiesta ha coinvolto oltre 200 aziende, attive prevalentemente nei settori Servizi e Manufacturing, sparse tra nord-ovest (50,7%), nord-est (19,9 %), centro (22,6 %), sud e isole (6,8 %).

Ebbene, le realtà intervistate hanno a larga maggioranza dichiarato di essersi trovate impreparate alle incertezze, prive di piani finalizzati al riguardo e con il solo SW come possibile risposta: oggettivamente, un po’ pochino.

Il 68% delle aziende coinvolte ha affermato che non aveva a disposizione un piano di gestione della crisi; ciò nonostante, il riadattamento è stato veloce, dato che il 90% delle realtà ha comunque continuato a lavorare. La dimostrazione che nel bel paese sicuramente non saremo campioni di organizzazione, prevenzione e programmazione, ma quanto a capacità di adattamento siamo autentici best performer, soprattutto quando arriva il momento nel quale è necessario ricorrere alla nostra forza principale, quella…della disperazione!

A confermarlo il fatto che in molti casi la produttività è perfino aumentata, le aziende stanno recuperando i valori pre lockdown primaverile, c’è persino chi raggiungerà e supererà il budget 2020 nonostante un più o meno consistente stop tra marzo e aprile.

Tra i dati evidenti vi è che la maggior parte, se non la totalità, dei processi dovrà rinnovarsi anche nel medio-lungo termine e che mai come in questi mesi, si è così tanto lavorato da remoto: il 99,5 % dei contesti ha adottato soluzioni di lavoro a distanza, anche se emerge chiaramente che in oltre un caso su due si è trattato di una soluzione nuova, mai veramente testata prima.

Se poco attrezzati ci si è fatti trovare in questa circostanza, la speranza potrebbe essere quella di trarne insegnamento per attivare azioni finalizzate a gestire meglio la prossima sfida, perché appare evidente che la stragrande maggioranza delle organizzazioni ha da implementare un modello nuovo, sia sul lato delle persone che della organizzazione.

Altrettanto intenso e profondo il lavoro da svolgere sul lato della cultura aziendale, che deve evolvere da una modalità prevalentemente impostata sul controllo a una imperniata sulla fiducia.

Servono poi nuovi sistemi e modalità di comunicazione, che portino alla revisione dei protocolli esistenti, assieme all’implementazione di nuove piattaforme. Obiettivo principale tenere collegate le persone, tanto quelle che lavorano prevalentemente da casa, quanto far sentire la vicinanza ai colleghi rimasti in azienda. Ritrovarsi attorno a un insieme di valori identificati e dichiarati, coerentemente agiti nella quotidianità.

Sarebbe errore gravissimo abbandonare la formazione, casomai lo sforzo deve essere maggiore e più intenso, anche per conoscere nuovi strumenti e sfruttarne le potenzialità, per non abbandonare i programmi e anzi completarli, meglio ancora implementarli e arricchirli con nuovi contenuti.

Vincente risulterà stare vicino ai collaboratori tenendoli coinvolti e ingaggiati: per far questo saranno necessari nuovi modi di valutare, anche perché gli obiettivi e i loro cruscotti cambiano, ma bisogna garantire la continuità di questi processi limitandosi a rimodularli, segnalando eventuali problematiche di performance o di natura tecnica. La funzione di bussola di questi sistemi, ove esistenti, è ancor più importante quando si è in momenti di disorientamento e di incertezza.

Un’interessante scoperta viene segnalata sul lato delle modalità di conduzione di alcune attività, per le quali la modalità in presenza era considerata non sostituibile fino a qualche mese fa: oggi in molti ammettono che assessment di selezione remotizzati, se condotti adeguatamente, possono rappresentare uno strumento utile e non meno efficace rispetto alle modalità “tradizionali”.

Cultura e leadership aziendale saranno lo snodo essenziale di questa fase di cambiamento e di ricerca di un nuovo equilibrio.

In Personale e Lavoro”, rivista di cultura delle risorse umane curata da ISPER, abbiamo trovato interessantissimi spunti a proposito di leadership ai tempi dello smartworking, dove la centralità viene individuata nella necessità di favorire l’identificazione di:

  • una nuova cultura aziendale, facile a dirsi molto meno a farsi
  • nuove tecnologie e spazi fisici, come elementi hard
  • nuovi comportamenti, imperniati su delega e fiducia

il tutto veicolato attraverso una leadership agile e orizzontale, grazie a capi coach che sappiano essere flessibili, partecipativi, visionari, in grado di seguire le trasformazioni delle persone e del contesto, facilitando i processi.

Ruolo fondamentale continuerà quindi a essere quello delle persone, in particolare per chi ha mansioni “di comando”, cioè di guida, coordinamento e ispirazione.

Un po’ di tempo è passato da quando Sir Ernest Shackleton pubblicava il suo annuncio “Cercasi uomini per viaggio rischioso. Paga bassa, freddo glaciale, lunghe ore di completa oscurità. Incolumità e ritorno incerti”. Apparso sul Times nel 1914, era volto alla ricerca dell’equipaggio necessario per la spedizione antartica Endurance; risposero in migliaia. La spedizione incappò quasi subito in un problema insormontabile che la bloccò ma grazie a una delle più straordinarie azioni di salvataggio, Shackleton riportò a casa, sani e salvi, tutti i membri della spedizione: certo, magari i nostri sofisticati sistemi di MBO potrebbero parlare di “mancato raggiungimento del risultato”…sorvoliamo.

Erano altri tempi. Più vicino ai giorni nostri, nel gennaio del 2009, il comandante Chesley Sullenberger (‘Sully’) effettuò un ammaraggio nel fiume Hudson, pochissimi minuti dopo il decollo, a causa di un impatto con volatili che danneggiò irreparabilmente entrambi i motori del suo volo. L’incidente non provocò una sola vittima, ma Sully andò a processo per aver violato le regole di sicurezza della navigazione area, fu licenziato e rischiò la galera (da segnalare il film sulla vicenda con Tom Hancks protagonista), salvo essere poi riabilitato.

Nel 2020, le recenti vicende in tema COVID ci offrono l’esempio del comandante Gennaro Arma della nave da crociera Diamond Princess, bloccata in Giappone per settimane dopo la scoperta di casi di Coronavirus tra le persone a bordo: 3700 passeggeri e 705 casi. E’ stato l’ultimo a lasciare la nave, commentando così quando accaduto: “Non mi sento un eroe. Sono una persona normale che ha fatto il suo dovere!” E a nessuno sarà sfuggito il confronto con il comportamento opposto del collega, lui pure italiano, Francesco Schettino: passato tristemente alla storia della navigazione per ben altri motivi.
Due crisi, due approcci radicalmente diversi, il meglio e il peggio nell’espressione della leadership in situazione di emergenza.

Come detto i tempi e le circostanze sono cambiate e differenti ma, in definitiva, a chi svolge attività di governo efficace di persone e organizzazioni, si continua a chiedere

  • valutazione attenta e realistica della situazione (con sempre meno tempo a disposizione)
  • gestione della comunicazione (in contesti spesso molto articolati, ampi e complessi)
  • capacità di coordinamento (con modalità differenti)
  • operatività spinta e presa di decisioni tempestiva
  • massimo utilizzo delle risorse (che sempre più spesso sono scarse)
  • comprensione delle preoccupazioni, delle ansie e delle paure delle persone (disorientate e smarrite)
  • capacità di infondere sicurezza (quando regna l’incertezza)

Per rispondere al meglio, dovrà poter disporre di un ambiente organizzativo e gestionale ottimamente e preventivamente progettato, che sia robusto, efficiente ed efficace.

Fondamentale che sia coerente nei comportamenti, che dovranno essere in linea con le parole. Perché la guida si esprimerà sempre di più con l’esempio. Un valido comandante ne è perfettamente consapevole e, sebbene sia esposto ad esse come qualunque altro essere umano, non ne è vittima e non permette che la sua capacità di reazione ne sia impedita, limitata o peggio ancora paralizzata. Avrà saputo costruire una squadra che lo aiuti e lo supporti, creando un rapporto di fiducia intenso e profondo con le sue persone, che agevolino e ne facilitino il difficilissimo compito.

In definitiva, qualunque sia il modello ispiratore delle nostre organizzazioni, la principale evidenza è che c’è molto lavoro da fare. Bisogna impedire che si avveri una poco entusiasmante e largamente diffusa previsione secondo la quale c’è il rischio che il tessuto della cultura organizzativa italiana, basato essenzialmente su un modello imprenditoriale caratterizzato da PMI che fanno dell’accentramento della proprietà il loro principale cardine, faccia da freno al consolidamento e allo sviluppo di tutto quanto è connotato e veicolato da un approccio SMART, riportandoci a prima della crisi; sarebbe un errore imperdonabile, una formidabile occasione persa, non capitalizzare questa fase convulsa per uscirne con nuovi modelli più agili e predittivi, più forti perché flessibili, basati sulla fiducia, sulla delega, sulla collaborazione e sulla valorizzazione.

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