“Completion bias”: minaccia o risorsa per la gestione produttiva delle nostre giornate

a cura di Alessandra Scafa

Da qualche tempo un nuovo costrutto si sta diffondendo tra gli studiosi ed esperti nel campo della psicologia organizzativa: il “Completion bias”.

Introdotto dalla professoressa Francesca Gino, della Harvard Business School e da Bradley Staats, professore all’University of North Carolina, tale costrutto getta luce su un fenomeno che troppo spesso mina silenziosamente la gestione della nostra giornata lavorativa e si collega al tema del time management.

Il termine indica la tendenza sistematica del nostro cervello a ricercare compiti rapidi da portare a termine, per il piacere derivante dal loro completamento.

La scarica di dopamina rilasciata in seguito al “completamento in sé” di un’attività, a prescindere dall’importanza dell’attività stessa o dalla sua difficoltà, induce infatti ad un picco temporaneo di motivazione, attenzione e memoria e, complessivamente, ad una percezione di maggior benessere e felicità nella persona.

Accade così che spesso si dedichi l’intera giornata allo svolgimento di compiti secondari e di facile attuazione (come ad esempio rispondere alle mail) tralasciando quelli più impegnativi ed a lungo termine, con effetti significativi sulla nostra efficacia lavorativa e soddisfazione.

Un esempio eloquente del fenomeno – e delle sue conseguenze sulla prestazione lavorativa e sull’intero contesto in cui si opera – ci è fornito dalla professoressa Gino in una ricerca condotta presso il pronto soccorso di un ospedale.

Dai 43 mila casi osservati è emersa una significativa tendenza da parte dei medici del reparto a dare priorità ai pazienti più rapidi da assistere, per dedicarsi poi a quelli più gravi ed impegnativi, di cui ci si prende cura dopo aver esaurito già gran parte delle proprie energie.

Si potrebbe obiettare che questo è un caso estremo in cui si manifesta la portata nociva e disfunzionale del “completion bias” e che ci possono essere delle procedure per cui in un ospedale si hanno delle priorità di intervento.

Prendiamo come riferimento allora il nostro contesto quotidiano.

Quante volte noi, seduti alla scrivania, facciamo lo stesso?

Quante volte arriviamo a fine giornata esausti, con la sensazione che seppur abbiamo lavorato assiduamente siamo ancora ben lontani dai nostri traguardi più impegnativi?

Il risvolto positivo della situazione c’è.

Sull’onda degli esperimenti condotti nell’ambito di una ricerca ancora inedita infatti, Gino e Staat dimostrano come questo bias, generalmente incontrollato, se gestito in maniera consapevole, possa rivelarsi una risorsa preziosa da cui ricavare il “combustibile” necessario allo svolgimento dei compiti più ardui.

Qual è il trucco?

Secondo i due professori la strategia vincente consiste nel pianificare la propria giornata di lavoro facendo sì che ogni attività “hard” sia preceduta da una o due attività più leggere e poco impegnative in termini di tempo.

Grazie a quest’alternanza hard – soft sarà possibile di volta in volta ricaricare energia e progredire ogni giorno in entrambe le direzioni (impegni a breve e lungo termine).

Un suggerimento in più.

Gli esperimenti mostrano che la carica derivante dall’aver terminato un’attività aumenta se tale completamento ci consente di “eliminare” materialmente quel compito da un elenco in cui esso era segnato.

Assolutamente sì quindi alle “to do lists” in cui è possibile segnare con una spunta le attività portate a termine di volta in volta!

Per leggere l’articolo completo pubblicato dai due ricercatori sulla Harward Business Review cliccare qui

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